lunedì 30 maggio 2016

BIENNALE ARCHITETTURA 2016

Biennale Architettura 2016


REPORTING FROM THE FRONT

Durante un suo viaggio in America del Sud, Bruce Chatwin incontrò un’anziana signora che camminava nel deserto trasportando una scala di alluminio sulle spalle.
Era un’archeologa tedesca Maria Reiche, che studiava le linee Nazca. A guardarle stando con i piedi appoggiati al suolo, le pietre non avevano alcun senso, sembravano soltanto banali sassi. Ma dall’alto della scala, le pietre si trasformavano in uccelli, giaguari, alberi o fiori.
Maria Reiche non aveva abbastanza denaro per noleggiare un aereo e studiare le linee dall’alto, e la tecnologia dell’epoca non disponeva di droni da far volare sul deserto. Ma l’archeologa era abbastanza creativa da trovare comunque un modo per riuscire nel suo intento. Quella semplice scala è la prova che non dovremmo chiamare in causa limiti, seppure duri, per giustificare contro la scarsità dei mezzi: l’inventiva.
D’altra parte, è molto probabile che Maria Reiche si sarebbe potuta permettere un’automobile o un furgone per viaggiare nel deserto, salire sul tetto della vettura e guardare da una certa altezza; e così facendo si sarebbe anche potuta spostare con maggiore rapidità. Ma questa scelta avrebbe distrutto l’oggetto del suo studio. Quindi, in questo caso, si è arrivati a una valutazione intelligente della realtà grazie all’intuizione dei mezzi con cui prendersene cura. Contro l’abbondanza: la pertinenza.
Il curatore Alejandro Aravena ha voluto che la 15. Mostra Internazionale di Architettura offrisse un nuovo punto di vista, come quello che Maria Reiche aveva dall’alto della scala. Di fronte alla complessità e alla verità delle sfide che l’architettura deve affrontare, REPORTING FROM THE FRONT si propone di ascoltare coloro che sono stati capaci di una prospettiva più ampia, e di conseguenza sono in grado di condividere conoscenza ed esperienza, inventiva e pertinenza con chi tra noi rimane con i piedi appoggiati al suolo.
L’architettura si occupa di dare forma ai luoghi in cui viviamo. Non è più complicato, né più semplice di così. Questi spazi comprendono case, scuole, uffici, negozi e aree commerciali in genere, musei, palazzi ed edifici istituzionali, fermate dell’autubus, stazioni della metropolitana, piazze, parchi, strade (alberate o no), marciapiedi, parcheggi e l’intera serie di programmi e parti che costituiscono il nostro ambiente costruito.
La forma di questi luoghi, però non è definita soltanto dalla tendenza estetica del momento o dal talento di un particolare architetto. Essi sono la conseguenza di regole, interessi, economie e politiche, o forse anche della mancanza di coordinamento, dell’indifferenza e della semplice casualità. Le forme che assumono  possono migliorare o rovinare la vita delle persone. La difficoltà delle condizioni (insufficienza di mezzi, vincoli molto restrittivi, necessità di ogni tipo) è una costante minaccia a un risultato di qualità.
Le forze in gioco non intervengono necessariamente a favore l’avidità e la frenesia del capitale, o l’ottusità e il conservatorismo del sistema burocratico, tendono a produrre luoghi banali, mediocri, noiosi. Ancora molte battaglie devono essere dunque vinte per migliorare la qualità dell’ambiente costruito e, di conseguenza, quella della vita delle persone.
Inoltre, il concetto di qualità della vita si estende dai bisogni fisici primari alle dimensioni più astratte della condizione umana. Ne consegue che migliorare la qualità dell’ambiente edificato è una sfida che va combattuta su molti fronti, dal garantire standard di vita pratici e concreti all’interpretare e realizzare desideri umani, dal rispettare il singolo individuo al prendersi cura del bene comune, dall’accogliere lo svolgimento delle attività quotidiane al favorire l’espansione delle frontiere della civilizzazione.
La proposta del curatore è stata duplice: da una parte, ha ampliato la gamma delle tematiche affinchè l’architettura fornisca delle risposte, aggiungendo alle dimensioni artistiche e culturali che già appartengono al nostro ambito, quelle sociali, politiche, economiche e ambientali. Dall’altro, Aravena ha cercato di evidenziare il fatto che l’architettura è chiamata a rispondere a più di una dimensione alla volta, integrando più settori invece di scegliere uno o l’altro.
REPORTING FROM THE FRONT riguarda la condivisione con un pubblico più ampio dell’opera delle persone che scrutano l’orizzonte alla ricerca di nuovi campi di azione, offrendo esempi in cui più dimensioni vengono sintetizzate, integrando il pragmatico con l’esistenziale, la pertinenza con l’audacia, la creatività con il buonsenso. Questi sono i fronti da cui vari professionisti hanno portato contributi all’evento Biennale, dando notizie, condividendo storie di successo e casi esemplari in cui l’architettura ha fatto, fa e farà la differenza.
Credo che il merito di Aravena sia di essere riuscito a schivare in parte il pericolo di una assunzione ideologica e moralistica, aprendo a una pratica curatoriale più aperta e problematica che, accanto agli slogan dell’architettura per tutti, apre spiragli verso pratiche più interstiziali e intriganti sulle responsabilità del progetto. Come nella bella e agghiacciante installazione – The Evidence Room – che, partendo dall’analisi forensica del campo di concentramento di Ausschwitz, replica le caratteristiche degli spazi e dei luoghi di detenzione ricostruendo gli strumenti architettonici di detenzione e di tortura: frutto dell’accurata progettazione di ingegneri e di architetti al servizio del terrore.
Qualcosa di concreto e duraturo vorrebbe portarlo anche il Padiglione Italia, alle Tese delle Vergini, dove il gruppo TAMassocciati presenta Taking Care, Progettare per il bene comune. I curatori hanno invitato cinque team di architetti, accoppiati ad altrettante associazioni, a proporre delle piccole architetture mobili in grado di attivare circoli virtuosi in zone difficili.

Nel Padiglione Italia possiamo ammirare un Legality Box, container da installare a presidio dei luoghi confiscati dalla mafia; l’ambulatorio pensato da Matilde Cassani con Emergency; l’Unità di Monitoraggio Ambientale per Legambiente; un “dispositivo per lo sport” (Marco Navarra con UISP)
E la biblioteca nomade BiblioHub pensata da Alterstudio Partners con l’Associazione italiana Biblioteche.

Maria Paola Forlani


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