martedì 8 novembre 2016

FOTOGRAFI IN TRINCEA

Fotografi in trincea

La Grande Guerra negli occhi dei soldati senesi


La mostra Fotografi in trincea. La Grande Guerra negli occhi dei soldati senesi aperta a Siena in Santa Maria della Scala fino al 15 gennaio 2017 a cura di Gabriele Maccianti (catalogo Edizione Polistampa), nasce da un lungo lavoro di ricerca che ha portato al ritrovamento di 22 archivi fotografici privati, per un totale complessivo di oltre 2500 scatti, e di 18 archivi cartacei composti da lettere, cartoline e diari.
Da questo immenso materiale sono state selezionate 100 fotografie amatoriali, riprodotte in grande formato, scattate da soldati senesi appassionati di fotografia durante i 41 mesi di conflitto. Attraverso queste suggestive immagini è possibile riscontrare che non si tratta di veri e propri reportage, ma di “racconti della guerra” illustrati da giovani senesi attraverso le loro macchine fotografiche. Ѐ stato possibile, inoltre, “isolare” le figure di 36 combattenti – dal boscaiolo al futuro generale, passando per tutti i gradi della scala sociale – che ha permesso di ottenere un quadro attendibile dei personaggi, sia per provenienza geografica che per estrazione sociale: aristocratici, borghesi, studenti universitari, artigiani e mezzadri.

Dei trentasei soldati partiti per il fronte, sette muoiono in combattimento, per ferite o malattie; due sono congedati per le gravi offese fisiche subite e ventisette tornano alle loro case e ai loro affetti più o meno psicologicamente provati dall’esperienza bellica ma senza menomazioni. Indossati di nuovo gli abiti civili, gran parte di loro condurrà una vita anonima, il cui ricordo è rimasto confinato alla memoria degli eredi. Solo pochi conosceranno – talvolta in modo effimero, talvolta duraturo – onori, fama e celebrità. Tutti insieme si presentano ora, attraverso questa mostra, a raccontare al pubblico le storie di quel terribile e grandioso momento, autentico spartiacque della storia contemporanea.

La Grande Guerra – prima grande catastrofe del XX secolo – rivive nella documentazione fotografica, per la massima parte inedita, custodita dagli eredi dei trentasei giovani uomini di Siena e della sua provincia. Risultano assenti nelle immagini le crudeltà della guerra combattuta; ben presenti, invece, gli effetti dei combattenti e dei devastanti bombardamenti di artiglieria, con i feriti, i corpi sepolti e le distruzioni arrecate all’ambiente e ai centri urbani. Un materiale eterogeneo e sorprendente, lontano dall’iconografia ufficiale e in grado di documentare tutti i fronti di guerra ’15 – ’18, del remoto scenario albanese al ben più conosciuto fronte dell’Isonzo fino al “fronte interno” di Siena e provincia.

Ampliano la prospettiva dell’esposizione quindici dipinti di Giulio Aristide Sartorio –
facenti parte dell’ampia collezione del Ministero degli Affari Esteri – realizzati tra il settembre 1917 e il giugno 1918 sulla base di scatti fotografici e di rapidi schizzi colti dall’autore sulla linea del fronte. Opere che conservano la freschezza e l’immediatezza dell’immagine fotografica da cui traggono origine.



Ne L’Anticristo, il libro più apocalittico, disperato e profetico di Joseph Roth, scritto nell’esilio parigino e pubblicato nel 1934 da un editore olandese, un capitolo è dedicato alla pittura di guerra. Se “gli antichi quadri di battaglie non sono spaventosi, ma piuttosto commoventi”, scrive Roth, viceversa non vi è “niente di più spaventoso del fatto che l’ultima guerra già cominci a diventare oggetto di questi idilliaci pittori di guerra. Dopo appena dieci anni dalla sua fine! Soprattutto nei paesi vittoriosi, che immaginano di aver vinto più o meno come un tempo i cavalieri del mondo cristiano sui pagani. I gas velenosi sembrano le graziose nuvolette di uno sterminio. [] E osserviamo come ci dipingono, i nostri padri, i nostri fratelli più giovani. Fanno film su di noi e quadri di guerra da appendere alle pareti. Che ai nipoti venga di nuovo voglia! Davanti ai nostri occhi vivi essi ritraggono le nostre viscere. E già minimizzano la nostra stessa morte”.





Maria Paola Forlani

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