domenica 6 novembre 2016

LIBERTY IN ITALIA

Liberty in Italia

Artisti alla ricerca del moderno


Gli anni di passaggio dall’Ottocento al Novecento sono contrassegnati da una profonda crisi di cui se ne riscontrano le conseguenze in quasi tutti gli artisti.
Da un lato prosegue l’ottimistica fede nel progresso scientifico, che appare inarrestabile e tale da portare a soluzione ogni problema umano, una fede che non è soltanto sentita negli ambienti còlti ma in ogni strato sociale, tanto da trovare esplicazione visiva popolare in quel ballo Excelsior ( del coreografo Luigi Manzotti e del musicista Romualdo Marenco) che, incentrato sulla lotta fra oscurantismo e civiltà con la luminosa vittoria finale di questa, conobbe, dopo la trionfale <<prima>> alla Scala di Milano nel 1881, successi strepitosi in tutto il mondo, fino alla scoppio della prima guerra mondiale (1914). E del resto, prima che quest’ultima spazzasse via, con la brutalità della violenza e della morte, tutte le illusorie speranze di pace e di civiltà, sembrava che l’Europa avesse finalmente trovato un’era di prosperità economica e di stabilità politica.

Dall’altro lato però ci si rende conto che questa <<felicità>> universale è solo apparente. Se la borghesia al potere è ricca, lo è sfruttando il lavoro delle classi subalterne, costrette a lottare per conquistare una migliore qualità di vita. E il progresso tecnico non è necessariamente legato al progresso dell’umanità, anzi rischia di meccanizzare l’uomo uccidendone la spiritualità, cosicchè sarà necessario, invece che considerare la tecnica come fine a se stessa, cercare (lo afferma il filosofo francese Henri Bergson) un <<supplemento d’anima>>.

Ѐ questa una delle aspirazioni di quella corrente culturale, che si manifesta dapprima e soprattutto in Francia, detta <<decadentismo>>, la quale per evadere dalla materialità volgare della realtà, si rifugia in un mondo intimo e raffinato, in un mondo fatto di sogni e di immaginazione, svincolato dalle leggi rigorose della ragione, libero come la musica, un mondo intellettuale, quale sembrava essere stato non quello delle età classiche ma epoche dette di <<decadenza>>. Sono le caratteristiche di letterati come Baudelaire, Villiers de L’Isle-Adam, Malarmé, che, in pittura, si può riscontrare in Odilon Redon, nei Nabis e in generale, in tutti i <<simbolisti>>. Elementi stilistici comuni sono l’innaturalità della rappresentazione, il colore piatto, la linea elegantemente sinuosa.

Ѐ in questo clima <<decadente>> che nasce e si diffonde in tutta Europa il movimento detto Art Nouveau nei paesi di lingua francese, Modern Style
in Inghilterra, Modernismo in Spagna, Jiunghestil in Germania, Sezessiontil
in Austria, Liberty o Floreale in Italia.

A Reggio Emilia nella sede di Palazzo Magnani, fino al 14 febbraio 2017, si è aperta una ampia e raffinata indagine sul Liberty in Italia a cura di Francesco Parisi e Anna Villari (catalogo SilvanaEditoriale), divisa in sette sezioni che vedono riunite quasi 300 opere: dipinti, sculture, illustrazioni, progetti architettonici, manifesti, ceramiche, incisioni.


Ogni sezione della mostra – dedicata al dialogo tra le diverse arti – mette in luce l’alternanza tra le due “anime” del Liberty italiano: quella propriamente floreale e quella “modernista”, più inquieta, stilizzata ed essenziale e che precederà le ricerche delle avanguardie, in primis il Futurismo.

Filo rosso che collega tutte le sezioni di mostra è lo stesso dialogo tra opera e processo creativo, che si manifesta attraverso la pratica del disegno e l’esercizio sulla linea grafica: alle pitture, sculture, ceramiche, ai progetti decorativi e ai manifesti sono stati infatti accostati bozzetti preparatori, cartoni, i disegni relativi a vasi, piatti e oggetti, in continuo scambio tra arti e campi di ricerca: si può così scoprire che lo scultore Arturo Martini ha disegnato vasi in ceramica, Felice Casorati ha progettato una fontana, Vittorio Corcos è stato anche cartellonista e Umberto Boccioni, oltre che cartellonista, ha disegnato alcune vignette per il “Corriere dei Piccoli”. Che risale insomma proprio al Liberty la ricerca di una bellezza applicata, grazie alla firma di un “autore”, a tutte le forme del vivere quotidiano.

Una chiave inconsueta che rivela, entrando nel vivo del “fare” e nella mente dell’artista, la vera essenza concettuale e espressiva del Liberty, un movimento, una tendenza e una moda che, a distanza di più di cento anni, non ha ancora esaurito il suo potere seduttivo.


Nelle tre ampie sale dedicate interamente alla pittura emerge come in Italia non sia possibile individuare uno stile unitario riconducibile ad un ortodossia liberty, ma piuttosto una varietà dovuta da una parte alla fedeltà di una tradizione regionale, dall’altra alla volontà di adeguarsi a esperienze straniere. Il percorso si snoda attraverso i primi tentativi di aggiornamento del gusto, con l’opera degli artisti del gruppo “In Arte Libertas” di matrice preraffaellita, e con la pittura a pennellate filamentose di Nomellini e Previati, che filtrarono le ricerche del divisionismo attraverso temi ed atmosfere simboliste; un’ampia sezione di ritratti, nudi e allegorie, da Giulio Bargellini a Giovanni Costetti, da Amadeo Bocchi ad Armando Spadini, accostati ai disegni preparatori, evidenziano la pluralità delle ricerche e come in Italia non fosse affidata solo alla linea sinuosa e fluttuante, derivata principalmente dal mondo vegetale, la ricerca di innovazione di linguaggio.



I temi correlati della dimora d’artista e della autocommittenza forniscono un punto di osservazione privilegiato per guardare all’architettura del liberty italiano e al tema, di primaria importanza, della casa. Anche in Italia le dimore d’artista offrono agli architetti per un verso imprenscindibili spunti di riflessione sui temi dello spazio della creatività, e sull’autorappresentazione dell’artista all’interno della società; per altro offrono l’opportunità di singolari rapporti con il committente finalizzati alla creazione di importanti esperimenti di “opere d’arte totali”. A questo poi si collega il tema della autocommittenza, allorchè l’architetto – svincolato da ogni imposizione del cliente e dal suo gusto – è libero di esprimersi nella massima autonomia. Il progetto della propria dimora così offre – anche per quanto attiene i massimi protagonisti dell’architettura liberty italiana, quali Raimondo D’Aronco e Ernesto Basile – il migliore campo di sperimentazione per il linguaggio modernista, anche in tutte le sue contaminazioni e contraddizioni.



Maria Paola Forlani

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