sabato 26 maggio 2018

CRISTINA CAMPO- di Gian Luigi Zucchini




NEL RICORDO DI CRISTINA CAMPO, UNA SCRITTRICE TRA NOSTALGIA DELLA TRADIZIONE E TORMENTO DI DIO.

La Biblioteca delle Donne (www.bibliotecadelledonne.it), che fa parte del complesso delle biblioteche di Bologna, ha dedicato un incontro a Cristina Campo (pseudonimo di Vittoria Guerrini), che fu poetessa, scrittrice, saggista, e si occupò di vari temi, tra cui la fiaba, sulla quale scrisse una serie di saggi poi raccolti in volume (‘Il flauto e il tappeto’, ed. Rusconi, Milano) e, nell’ultima parte della sua vita, la liturgia cattolico-romana e bizantina, in scritti che ora l’editrice Adelphi sta pubblicando, sia inediti (la maggior parte) che già editi ma tutti peraltro già da tempo esauriti.
Questo articolo nasce dalla presente informazione, che mi giunge tra le consuete decine e decine di notizie riversate ogni giorno sul mio computer, e ci si potrebbe chiedere la ragione di questo mio interesse. Infatti, vedere il nome della Campo, un tempo totalmente dimenticata, nel novero di manifestazioni indette per di più dalla Biblioteca delle Donne, in anni lontani ristretta a pochi gruppi di femministe molto convinte ed esclusive, mi ha piacevolmente stupito. E infatti l’indifferente silenzio e la voluta disattenzione al suo lavoro poetico e letterario non potevano spiegarsi in altro modo se non con il fatto che la sua aristocratica mentalità culturale, il suo distacco dal contingente, la sua fede che non ammetteva compromessi l’avevano irreparabilmente emarginata dal contesto sociale, specialmente in un periodo, come gli anni ’70 e ’80, molto turbati da scontri, contestazioni, rivolte e smantellamento dei valori in cui lei fortemente credeva.
Ma, in tutto questo, venivano sepolte nel silenzio anche le voci più genuine e più pure di una forza lirica ideale, e di una vita vissuta nella ricerca di una superiore bellezza spirituale.  E Cristina Campo era tra questi. Di nome Vittoria Guerrini, nasce nel 1923 a Bologna da illustre famiglia dell’alta borghesia cittadina. Il padre, Guido, è un insigne maestro di musica; la madre, Emilia Putti, è sorella del celebre ortopedico Vittorio Putti, sulla collina bolognese. Cristina è inoltre nipote di Enrico Panzacchi, poeta e docente di letteratura italiana presso l’Università di Bologna, che fu molto noto sullo scorcio dell’Ottocento nell’ambito del circolo carducciano.  Respira quindi coltura fin dalla nascita, che consolida via via nei primi anni dall’infanzia e dell’adolescenza vivendo con la famiglia presso la bella villa del professor Putti, nel parco dell’Ospedale Rizzoli di Bologna, tra il verde della collina, dove l’illustre clinico lavorò diventando celebre nel campo della chirurgia ortopedica. Non ci deve stupire quindi se la sua visione della cultura era prevalentemente classica, e conseguentemente la sua scrittura si muoveva nell’ambito di una composta ed elegante correttezza linguistica e lessicale, spesso elevata a vera e propria poesia soprattutto nell’interpretazione di certi aspetti della letteratura e nelle traduzioni, a cui si dedicò con impegno, traducendo soprattutto dal tedesco e dal francese.
A Firenze, dove la famiglia si trasferisce, e dove fa le prime, interessanti conoscenze, fino a Roma, dove vive fino alla morte sopraggiunta prematuramente nel 1977, sviluppa una rete di conoscenze con poeti, artisti, scrittori e si lega sentimentalmente per un lungo periodo con Élemire Zolla, studioso di antropologia e di storia delle religioni, uomo coltissimo ma di affetti mutevoli, tanto che sposò poi la poetessa Maria Luisa Spaziani, scomparsa nel 2014 a 91 anni.
Affetta da una malformazione cardiaca fin dalla nascita, vive una vita sempre sul limitare, nel timore che si rompa l’equilibrio tra la sua impetuosa energia creativa e la debolezza fisica che lei avverte crescente, e ne debilita il pensiero e le forze.
La sua visione religiosa, coltivata in famiglia fin dall’infanzia, si fa sempre più tesa nei primissimi tempi dopo il Concilio Vaticano II, quando l’urto tra progressisti e conservatori diventa addirittura drammatico. Così le pur prudenti aperture dei Padri Conciliari suscitano fortissimi dissapori e critiche da una parte e dell’altra.  Cristina è sconvolta dalle riforme apportate nei riti e nella liturgia, dove gruppi diversi interpretano con libertà eccessiva i vari documenti conciliari, fino a mettere in discussione lo stesso significato della Messa cattolica. In certe chiese si fa musica con percussioni e balli rock durante i riti, in altre, si demoliscono altari anche antichi per adattare vetusti edifici alle nuove esigenze liturgiche, si contestano anche le più antiche tradizioni, come le processioni, l’associazionismo tradizionale, la stessa visione della vita tradizionalmente cristiana. Il papa Paolo VI, in questo complesso e drammatico travaglio della Chiesa – al fine di evitare disobbedienze dai tradizionalisti e anche, per taluni versi, dai progressisti - impone alcune trasformazioni al rito della Messa tradizionale, definito fin dal Concilio di Trento, suscitando reazioni anche da parte di alti prelati: I cardinali Siri, arcivescovo di Genova, e il curiale cardinale Ottaviani, scrivono e diffondono un opuscolo che fa scalpore, la cui stesura è della stessa Cristina Campo, fondatrice insieme ad altri notissimi intellettuali cattolici dell’Associazione UNA VOCE, per la difesa della liturgia latina e del canto gregoriano. Per lei, ad essere distrutta è soprattutto la bellezza del rito, la poesia evocativa di una lingua sacra come il latino, la stessa poesia della religiosità e l’abbandono (ancorché parziale) della tradizione antica che si definiva allora perenne. Tutto ciò l’allontana ancor più dal suo tempo e la affonda in un oceano di tristezza e di malinconica nostalgia. Questo continuo stato di disagio, accresciuto ancor più da una tensione psichica che ne incupisce i giorni e le ore della vita, non giova ovviamente al suo cuore debilitato da tempo. Muore in età ancor giovane, e di lei, da allora, si ignorò ormai tutto. Soltanto più tardi un’amica bolognese, che condivideva con lei l’amore per la poesia, la bellezza dell’antico pensiero cristiano e lo splendore delle liturgie solenni, si interessò per la traslazione dei resti di Cristina Campo nella Certosa di Bologna, che da allora riposano nella cappella del professor Marcello Putti, segnalata in particolare da una piccola lapide in cui è inciso il nome e cognome e le date di nascita e di morte. 
In un bellissimo articolo apparso sul Corriere della Sera del 12 gennaio, scriveva Pietro Citati: …”Tutto era stato inutile: la fede, la grazia, l’attenzione, l’amore, la discrezione, la vocazione, la tenacia, l’ardore, la dolcezza, la crudeltà – tutto quello che aveva fatto di lei una creatura incomparabile, era stato spazzato via con un gesto. Per un momento non riuscii a pensare ad altro. Poi nella memoria risorse il lieve splendore della voce di Vittoria, la grazia della scrittura di Cristina, e il verso incessante di Dylan Thomas: “E la morte non avrà più dominio”.
Come infatti sta già lentamente avvenendo, non ovviamente sul piano umano, ma su quello più elevato della cultura;  e, non ultimo, quello spirituale proprio dell’itinerario dantesco, dove ragione e fede si fondono in un unico processo di luce.

                                                                                                        Gian Luigi Zucchini



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