giovedì 13 agosto 2020

Bologna, una città per le donne

 

 Bologna, una città   per le donne

Nell’età del Rinascimento Bologna detiene un interessante primato, quello di aver dato i natali a un gran numero di donne artiste di una certa fama; tra il XVI e il XVII secolo i registri della città ne annoverano più di una ventina. L’importanza in città dell’istituzione universitaria, con libero accesso per le donne, è certo uno dei fattori che hanno dato origine a questo fenomeno.


Si conoscono nomi di “dottoresse” in giurisprudenza, filosofia e medicina; si tratta di figure spesso avvolte in un’aurea leggendaria, come quella di Novella d’Andrea, costretta a insegnare coperta da un velo per non distrarre gli studenti con la sua conturbante bellezza. A influenzare il corso dell’arte al femminile in città è una monaca, Caterina de’ Vigri, che verrà canonizzata soltanto nel 1712 ma già i suoi contemporanei la considerano degna di santità.

Caterina non è l’unica donna bolognese a essere resa oggetto di culto mentre è ancora in vita: ricordiamo per esempio, anche Elena Duglioli Dall’Olio, nota per aver commissionato a Raffaello l’Estasi di Santa Cecilia (pala conservata ora nella Pinacoteca Nazionale di Bologna),
dedicata alla santa con la quale la gentildonna ama identificarsi. Caterina de’ Vigri riceve la sua educazione presso la corte di Ferrara, nota per essere uno dei centri di diffusione del pensiero umanista. La creazione artistica è vissuta da Caterina de’ Vigri come un fatto spirituale, un mezzo per comunicare con Dio, ma ciò non le impedisce di essere eletta a simbolo delle donne impegnate in arte.
Nativa di Bologna è anche Properzia de’ Rossi, scultrice di grande successo, che avrà l’onore di poter lavorare nel cantiere del Duomo di San Petronio ma che sarà ricordata soprattutto per la sua abilità nell’intagliare scene complesse su noccioli di ciliegia.

Se Vasari cerca di presentarla come “giovane virtuosa non solamente nelle cose di casa, come altre, ma in infinite scienze”. Documenti dell’epoca ce ne mostrano un aspetto più irrequieto e assai meno edificante. Nel corso della vita subì anche due processi: uno insieme ad Antonio Galeazzo Malvasia, secondo alcuni il suo amante, per aver danneggiato i terreni di un tale Francesco da Milano, un altro per aver aggredito il pittore Vincenzo Miola. Secondo Vasari le voci su di lei nascevano spesso dall’invidia: pare che Amico Aspertini si prodigasse per screditarla, geloso del suo talento nell’arte della scultura. A metter fine a questa vita inquieta sopraggiunge la peste del 1530, ma nella letteratura ottocentesca si diffonde l’immagine di una Properzia eroina romantica che si uccide per amore di un ufficiale di Carlo V, promesso in sposa a un’altra donna.
Bologna dà i natali anche a un’altra artista assai celebre: Lavinia Fontana. Suo padre, il pittore Prospero Fontana, difenderà sempre l’opera della figlia. Abile nel nascondersi dietro a un’apparente umiltà e nell’ostentare modestia, Lavinia è in realtà assai orgogliosa del proprio ruolo di artista e dei successi ottenuti. Sua coetanea è Barbara Longhi, anch’essa figlia d’arte. Non di Bologna, ma della vicina Ravenna, Barbara è lodata dai contemporanei: “Ne tacerò”, scrive Vasari, “che una sua figliuola ancor piccola fanciulla, chiamata Barbara, disegna molto bene, ed ha cominciato a colorire alcuna cosa con assai buona grazia e maniera”. Molto interessanti sono i suoi due presunti autoritratti nella veste di Santa Caterina d’Alessandria, nei quali Barbara si identifica con la figura della santa, aristocratica e colta per eccellenza, proponendosi come nuovo modello di donna educata secondo i dettami di Baldassarre Castiglione. La Felsina Pittrice, opera di Malvasia, biografo bolognese si chiude con il ricordo di Elisabetta Sirani, pittrice nata nel 1638 e scomparsa in giovane età, che il letterato aveva eletto a propria protetta.

Malvasia celebra questa talentuosa pittrice, molto apprezzata anche dalla committenza del tempo, con tono solenne e lirico per investire la giovane artista, morta con sospetto di avvelenamento (probabilmente si sia trattato di ulcera) di un’importanza particolare. Non è credibile che la Sirani, come si tramanda, abbia dipinto più di duecento opere in ventisei anni di vita, ma è vero che anticipando notevolmente i tempi e dando prova di una certa indipendenza, la pittrice aprì uno studio personale e una sua scuola per donne pittrici. Attenta al linguaggio di Guido Reni e alla nuova linea della scuola bolognese, Elisabetta Sirani propone uno stile personale, molto morbido e grazioso, di sicuro successo.

M.P.F.

 

 

 

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