lunedì 7 settembre 2020

Alexej Jawlensky e Marianne Werefkin

 

Alexj Jawlensky e Marienne Werefkin


Compagni di vita


Al Museo d’arte moderna di Ascona si è aperta la mostra Alexj Jawlensky e Marianne Werefkin. Compagni di vita a cura di Mara Folini la quale racconta il profondo rapporto che ha unito i due artisti russi, e le difficoltà di lei, Marianne, che – come può capitare in una coppia – in quel rapporto ha dato troppo e ricevuto troppo poco. La mostra però è soprattutto un vivace ritratto di due protagonisti della pittura moderna, al di là della trama delle loro vicende personali, raduna una splendida serie di quadri a beneficio degli spettatori.


Dei due, è Alexej Jawlensky (Torok, Russia, 1864 – Wiesbaden, 1941) il più noto. Le sue opere più conosciute sono le Teste astratte che dipinge a partire dagli anni Venti, quando abbandona l’Espressionismo, che lo aveva portato a prediligere colori stravolti e febbrili, e diventa sempre più essenziale. Si avvicina, almeno in parte, all’astrazione, riallacciandosi anche alla tradizione del misticismo russo bizantino. Mentre nell’ Autoritratto del 1912 il suo volto, un po’ da mastino, era infiammato da un arcobaleno di viola, rosa e blu, e in Maturità dello stesso anno il ritratto si accendeva di gialli che davano nell’oro e verdi che si orlavano di rosso, nella Testa astratta del 1927, la faccia diventa un incrocio di rette verticali e orizzontali che fanno pensare a una croce. Non è un caso <<L’arte è nostalgia di Dio>>, diceva l’artista. Negli anni successivi dipinge spesso, con poche linee, il volto di Cristo, ma anche quando ritrae uomini e donne di tutti i giorni evoca l’immobilità delle icone.



Diverso è il percorso di Marianne Werefkin (Tula, 1860 – Ascona, 1938) che rimane fedele all’Espressionismo trasformandolo però in una sorta di realismo magico incantato, carico di accenti fiabeschi.



Nell’Autoritratto del 1910 si dipinge anche lei con colori visionari, ma nel Posto di polizia a Vilnius, del 1914, sembra di assistere al racconto di una fiaba, È notte: una gelida notte russa, illuminata da uno specchio di luna. Due persone si allontanano nella strada deserta, tra le case che sembrano fatte di neve. I soldati montano la guardia, ma il fuoco che hanno acceso per scaldarsi si colora improvvisamente di blu e la fiamma si riverbera sui tetti delle case, sui palazzi che rosseggiano nel silenzio. Come per un incantesimo,

Marianne Werefkin era nata a Tula a sud di Mosca, nel 1980, da una facoltosa famiglia di alti funzionari militari, e aveva trascorso l’ifanzia e la giovinezza a Vitebsk (la terra di Chagalle) e a Vilnius, agli inizi degli anni Novanta, non potendo iscriversi all’accademia d’arte che era vietata alle donne, prende lezione private a San Pietroburgo da Iljà Repin (1844-1930), uno dei maggiori esponenti del realismo ottocentesco.

È lì che nel 1892 conosce Jawlensky, che aveva quattro anni meno di lei (era nato a Torzok, a nord di Mosca, nel 1864) ed era anch’egli allievo di Repin. Poco dopo si lega a lui. I due dipingono insieme, ora nella tenuta di lei in Lituania, ora nello studio del comune maestro, e nel 1896 si trasferiscono a Monaco nel quartiere di Schwabing, la Montmartre bavarese. Portono con loro – è, col senno di poi, il primo errore – una cameriera quindicenne Helene. Nella città tedesca Marianne smette di dipingere per dedicarsi completamente a Jawlensky – è il secondo errore – è dà vita a un salotto di artisti e intellettuali. Viaggiano molto: vanno a Venezia, girano per l’Italia, rientrano brevemente in Russia. Tornano a Monaco nel 1901, ma il loro rapporto entra in crisi perché Jawlensky ha una relazione con Helene, da cui l’anno dopo ha un figlio.

Seguono periodi complicati, ma Marianne gli resta vicina. Il trauma però le fa capire che almeno al secondo errore può rimediare e finalmente, dopo dieci anni, riprende a dipingere. <<Sono ancora viva e sono quello che sono sempre stata: un artista>>, aveva scritto qualche tempo prima. Quando nel 1909 a Monaco nasce la Neue K
ünstlervereingung, l’associazione presieduta da Vasilij Kandinskij (1866-1944), lei eJawlensky sono tra i fondatori. Quando nel 1910 Kandinskij dipinge il primo quadro astratto, lo frequentano assiduamente, anche se non abbracciano l’astrazione.

Quando poi, nel 1912, Kandinskij e Franz Marc fondano il Cavaliere Azzurro espongono più volte in Europa col gruppo. Sono anni fervidissimi, di idee ma anche di incontri e di amicizie. Allo scoppio del conflitto Jawlensky e Werefkin si trasferiscono nella pacifica Svizzera, ma la loro storia non ha un lieto fine. Conoscono la povertà, dipingono cose diverse e nel 1922, dopo trent’anni di vita in comune con Marianne, lui sposa Helene.

M.P.F.

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