giovedì 25 marzo 2021

SCRIBENDO ATQUE PINGENDO

 


Scribendo atque pingendo

 

Nei secoli dal nono al dodicesimo, era compito delle badesse copiare e ritrarre i simboli sacri e dipingere i margini dei libri; e l’ornare gli scritti sacri doveva sollevare l’anima e ispirare la mente a Dio. Dipingere in calligrafia costituiva per molte dame sofferenti, una consolazione e un complemento agli esercizi religiosi. Queste artefici fecero molto per preservare l’arte dall’oblio, mentre gli uomini dedicavano il loro tempo e i loro pensieri (trovandovi distrazione) ai clamori delle battaglie o alle dispute delle scuole.


Prima della invenzione della stampa, la scrittura e la pittura erano strettamente collegate, ed essere uno scrivano comportava, frequentemente, il miniare in modo immaginoso il testo, oltre a trascriverlo accuratamente. Redegonda a Poitiers nel sesto secolo, e suor Giovanna Petroni a Siena nel quattordicesimo secolo, dirigevano conventi istituiti al preciso scopo di formare copiste e miniaturiste. Le sante Arlinda e Relinda nell’ottavo secolo divennero anche maestre, e la cronaca della loro storia è narrata in una biografia del nono secolo, tanto altamente erano apprezzate la loro erudizione e produttività artistica.


L’antico biografo racconta che queste due sorelle <<mostrarono una seria inclinazione sin dalla prima età>> e furono educate in un convento a Valeciennes, dove vennero istituite <<in quel che ai giorni nostri stimasi meraviglioso, nella scrittura e pittura (scribendo atque pingendo), opera invero faticosa sinanche per gli uomini>>. Ritornate dalla scuola conventuale, Relinda e Arlinda fondarono un centro a Maaseyck, cui si unirono molte giovani donne, le quali seguirono l’esempio delle loro maestre che <<aborrivano la pigrizia ed erano dedite al lavoro>>. A prescindere dai loro doveri amministrativi, le due sorelle portarono a termine molti arazzi ricamati in modo ricercato con oro e gemme, trascrivendo e miniando nel contempo libri di salmi ed evangeli. Frammenti di queste opere rimangono ancor oggi nella chiesa di Maaseyck, a testimonianza delle loro fatiche.


Adelarda, S. Gisella, S. Ratrude, e numerose altre monache divennero famose come miniaturiste e il nome d’una di loro Diemud, divenne sinonimo di produttività. Lavorando assiduamente nel monastero di Wesobrun dal 1057 al 1130. Diemud produsse circa quarantacinque manoscritti <<di rara bellezza>> contraddistinti da lettere iniziali estremamente ornate e da una scrittura minuscola di <<grande eleganza>>. La sua penna straordinariamente prolifica indusse il suo biografo a tributarle il complimento, sincero seppure ambiguo, che la sua opera <<superava quella che avrebbe potuto fare numerosi uomini>>.


L’argomento del manoscritto – la fine del mondo, tema prediletto del decimo secolo- ha senza dubbio stimolato l’immaginazione della pittrice. Coloratissimi draghi, demoni, angeli, animali e santi riempiono le pagine della sua opera, <<non superata da nessun’ altra del decimo secolo>>. Le sue composizioni fortemente accentrate danno un senso di equilibrio teologico ed estetico, e le ampie fasce di colore in alcuni sfondi danno ordine alla complessità della visione


I nomi di donne di questo periodo che di solito vengono registrati sono quelle di badesse potenti come Aelflaed, badessa di Whitby; Aethalthrith di Ely; Cristina di Mergate; Eustadiola di Bourges; Hitda di Meschede; Agnese di Quedlinburg; Ada sorella di Carlomagno; Uta, badessa di Regensburg. Talvolta erano esse stesse

le artiste, talvolta erano le patrone di opere d’arte cui legavano i loro nomi. Queste donne esercitarono una influenza importante sulla Chiesa nel suo insieme (come narra Joan Morris nel suo libro, intitolato The Lady was a Bistratrici ed educatrici attivissime.


 Sant’Ildegarda di Bigen (1096-1179) fu una tra le più notevoli di queste badesse. Conosciuta principalmente come mistica, si occupò anche di scienza naturali e di medicina, del dibattito politico e religioso del suo tempo, di musica e di riforma della lingua (inventò un linguaggio segreto di 920 parole; e il titolo del suo libro di visioni, Scrivias, potrebbe essere una di queste). Nel 1136 fu nominata badessa, e immediatamente fece spostare la comunità in una località nuova, Rupertseberg, presso Bighen, sul Reno.


Fu soltanto dopo il quarantatreesimo anno che le sue visioni interiori si rivelarono in tutta la loro forza:

Ero stata consapevole, sin dalla prima fanciullezza, di un potere di intuizione e di visioni di cose nascoste, sin dall’età di cinque anni, allora e poi sempre d’allora in avanti. Ma non ne feci menzione se non a poche persone religiose, che seguivano la stessa mia regola; lo tenni nascosto nel silenzio, sino a che Dio nella sua grazia non volle che ciò fosse manifesto…Fu nel mio quarantatreesimo anno, mentre fremevo nella trepida aspettativa d’una visione celestiale, che scorsi un grande splendore attraverso cui una voce dal cielo si rivolgeva a me: <<O fragile figlia della terra, cenere delle ceneri, polvere della polvere, esprimi e scrivi ciò che vedi e odi. Tu sei timorosa nel parlare, ingenua nello spiegare, ignorante nello scrivere, purtuttavia esprimiti e scrivi non secondo l’arte ma secondo la abilità naturale, non sotto la guida dell’umano comporre bensì sotto la guida di ciò che vedi e odi lassù, nel cielo di Dio…>>


In verità lo Scrivas è dominato da visioni di luce – stelle, luna, sole e sfere fiammeggianti – che combattono, e infine sopraffanno, un’oscurità potente piena di demoni, draghi e mostri. È interessante confrontare la iconografia originale e il senso di tensione morale trasmesso da queste miniature con l’opera di Ende.


Mentre Ildegarda scriveva, chiaramente, per il mondo esterno alle mura del convento, Herrade di Landseberg, la badessa di Hohenburg nel dodicesimo secolo, si occupava particolarmente della educazione delle monache sotto la sua direzione. Ella intraprese, negli anni fra il 1160 e il 1170, la scrittura e la miniatura di un enorme manoscritto mirante a istruire le sue monache nella <<storia del mondo, dalla creazione agli ultimi giorni>>. Hortus deliciarum (Il giardino delle delizie) era senza dubbio di mano sua, e conteneva 636 miniature, comprendenti figure allegoriche, illustrazioni di scene bibliche, visioni apocalittiche, suggerimenti di giardinaggio e scene di vita contemporanea – una sorta di almanacco ed enciclopedia. Tale manoscritto per secoli custodito con gran cura nella biblioteca di Strasburgo, fu distrutto da un incendio durante il bombardamento della città nel 1870. Fortunatamente gli studiosi del diciannovesimo secolo avevano fatto calchi meticolosi di molte figure del manoscritto – senza l’argento e l’oro, il colore brillante dell’originale. – a comunicare oggi l’ampio respiro e l’audacia della concezione di Herrade.


M.P.F.

 

 

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