domenica 19 aprile 2015

La Rosa di Fuoco

La Rosa di Fuoco


La rosa di fuoco era il nome con cui era chiamata Barcellona negli ambienti anarchici di inizio Novecento. Un appellativo che evoca, allo stesso tempo, il fermento che a cavallo del secolo infiammava la vita politica, sociale e culturale della capitale catalana, ma anche i violenti attentati dinamitardi e i conflitti sociali di cui fu teatro la città. A siglare l’ascesa di Barcellona era stata nel 1888 l’Esposizione Universale, che celebrava il vertiginoso sviluppo economico e urbanistico della città e contribuiva a diffondere idee di rinnovamento. S’impongono nuovi stili di vita, nuovi valori e nuove visioni creative, contagiati dall’euforia della vita moderna che si respirava nelle capitali della Belle Èpoque.

Contemporaneamente, sulla scena artistica, si afferma un movimento animato dalla sete di sperimentazione, il modernismo catalano, che prende a modello la Parigi Art Nouveau, la Seccessione Viennese e le altre grandi correnti europee del rinnovamento culturale.

La crescita culturale ed economica della capitale catalana fu però accompagnata da tensioni sociali che nel luglio del 1909, durante quella che sarà definita la “settimana tragica”, sfociarono in un violento conflitto tra popolazione civile e militari e in una dura repressione che decretò la fine di questa stagione.
Di questi anni fecondi e inquieti, e dei talenti che li animeranno, dà conto La rosa di fuoco,  una grande mostra organizzata dalla Fondazione  Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, a cura di Tomàs Llorens e Boye Llornes, aperta fino al 19 luglio. La rosa di fuoco, ovvero l’arte e le arti a Barcellona tra 1888 e 1909, offre un punto di vista particolare su quel periodo aureo dell’arte e della cultura catalana, presentandolo sullo sfondo dello scenario storico-sociale per metterne in risalto la fisionomia complessa quanto affascinante.

L’esposizione mette a confronto tecniche e ambiti artistici differenti per esplorare le varie anime del modernismo catalano, ponendo in risalto la natura poliedrica ed eclettica di questo movimento, che trovava i propri modelli tanto nelle radici medievali della Catalogna, quanto nella Parigi art Nouveau e negli altri poli del rinnovamento culturale europeo.

La mostra si apre con due immagini simbolo che evocano idealmente la cornice entro cui si sviluppò l’immaginario dei modernisti, oscillante tra euforia e pessimismo.
Il primo è il piano urbanistico del 1860 progettato da Ildefons Cerdà: il progetto, ispirato a ideali di uguaglianza e basato su un sistema modulare di isolati regolari, fornì le linee guida sulle quali, nel giro di qualche decennio, si sviluppò la Barcellona moderna oltre i confini del Barri Gòtic.

Il percorso espositivo si concentra sulle innovazioni urbanistiche e mette in luce le peculiarità di un’architettura che cambia il volto della città all’insegna dell’eclettismo, attingendo alla tradizione medioevale e all’artigianato locale per rifondare un’estetica e una pratica costruttiva nel segno della modernità.
Una panoramica sulla produzione dei protagonisti del modernismo presenta le caratteristiche della loro pratica architettonica: dal naturalismo floreale di Lluìs Domènech i Montaner, alle raffinatezze neogotiche di Josep Puig i Cadafalch, soffermandosi sulle fantasie orientaleggianti di Antoni Gaudì.

Un suggestivo allestimento permette al visitatore di entrare idealmente nell’atelier di quest’ultimo, offrendogli una visione ravvicinata su alcune tra le sue invenzioni più originali, come la pavimentazione in cemento ideata nel 1904 e oggi ancora utilizzata per lastricare i viali di Barcellona. E soprattutto il progetto della chiesa della Colonia Güell. Gaudì aveva creato nel suo studio un sistema di corde e pesi corrispondenti al carico esercitato sulle volte e sulle colonne, per simulare la forma capovolta della struttura della chiesa. Poi, rovesciando le fotografie di questa struttura, egli aveva tracciato i disegni progettuali, immaginando una struttura rivoluzionaria: un’architettura di forme organiche prive di angoli che rimanda agli elementi naturali che offrono riparo come la caverna e l’albero. In mostra sono visibili questi rarissimi disegni accanto alla ricostruzione del modello.

Un’ampia sezione della mostra mette a fuoco la fisionomia sfaccettata della vita pubblica. Innanzitutto il luogo di ritrovo di gran parte degli artisti che animano il modernismo, la mitica taverna Els Quatre Gates, dove si tennero serate letterarie, concerti, esposizioni e spettacoli. Una suggestiva galleria di manifesti evoca la straordinaria diffusione della cartellonistica pubblicitaria e delle arti grafiche, cui diedero un apporto fondamentale proprio i frequentatori dei Quatres Gats. Una selezione di ritratti documenta l’esordio del diciottenne Picasso, che, con la sua prima mostra personale, in questo luogo magico, salì alla ribalta come uno dei più dotati talenti della scena modernista.

Nel capitolo successivo della rassegna, il visitatore è condotto all’interno delle abitazioni borghesi, in quell’intimità elegante che artisti come Casas riescono sapientemente a restituire attraverso informali ritratti d’ambiente come Scena domestica all’aria aperta, 44.

I modernisti subirono il fascino della musica e dell’estetica wagneriana che aveva contagiato tutta Europa. Al Teatre del Liceu di Barcellona andarono in scena rappresentazioni con scenografie spettacolari, grandiose architetture dipinte che riflettono l’importanza data al coinvolgimento di tutte le arti nella concezione wagneriana dell’opera totale. Un suggestivo allestimento, in mostra, presenta il modello originale delle scene disegnate da Oleguer Junyent per il Tanhäuser sullo
sfondo del fregio creato da Adrià Gual per la sala della musica dell’Associazione wagneriana, sui temi del Tristano e Isotta e del Parsifal.


Con l’eccezione di Mir, i modernisti scelgono Parigi come seconda patria e qui raggiungono anche grande notorietà. È il caso di Hermen Anglada Camarasa che fu una star nella ville lumière del primo Novecento per le sue femme fatales e, naturalmente, del giovane Picasso che, al suo esordio nella galleria di Ambrosie Vollard, fu accolto dal successo critico e commerciale. Una sezione della mostra ripropone questo confronto sul tema delle “lucciole” e dell’immagine ammaliante e nello stesso tempo minacciosa della vita notturna parigina.

Una sala dell’esposizione evoca gli eventi drammatici del 1909, in cui confluiscono le tensioni che hanno attraversato questo periodo. A far esplodere la miccia fu il reclutamento per la guerra coloniale in Nordafrica, contro il quale venne indetto uno sciopero generale; intervenne l’esercito e gli operai eressero barricate. Vennero date alle fiamme decine di chiese e conventi, profanate le tombe dei religiosi ed esposte le salme dei defunti. Ma lo sciopero rivoluzionario mancava di una guida e venne represso nel sangue.

L’epilogo della mostra è dedicata soprattutto ai due artisti che più di ogni altro hanno saputo leggere la sofferenza che si nasconde tra le pieghe di questa situazione esplosiva, fino a dedicarvi un’intera stagione della loro pittura: Picasso e l’ultimo dei grandi protagonisti del modernismo in pittura, Isidre Nonell.

La mostra si chiude con un capolavoro come Ragazza in camicia (1904-05) di Pablo
Picasso, una straordinaria figura femminile appena delineata su un astratto fondo blu, che ha forza assoluta di un simbolo universale. Gracile eppure orgogliosa, è un’icona della fragilità e della dignità umana, e nella estrema semplificazione dell’impaginato e della tavolozza annuncia quella rottura col naturalismo che culminerà nell’invenzione del cubismo.


Maria Paola Forlani

Nessun commento:

Posta un commento