lunedì 20 aprile 2015

Nel segno dei Medici

Nel Segno dei Medici
Tesori sacri della devozione granducale

“La bellezza e il colore delle immagini
sono stimolo per la mia preghiera.
È una festa per i miei occhi così come lo
spettacolo della campagna sprona il
mio cuore a rendere gloria a Dio”
(De Sacri immaginibus orationes)

Si è aperta nel Museo delle Cappelle Medicee, fino al 3 novembre 2015, la mostra
Nel segno dei Medici. Tesori sacri della devozione granducale (catalogo Sillabe), a cura di Monica Bietti, Riccardo Pennaioli ed Elisabetta Nardinocchi.
L’evento vuole essere una riflessione e un approfondimento su un tema caro alla famiglia granducale: i doni a carattere sacro, preziosissimi e magnifici che i Medici offrirono ai santuari della Toscana, ma anche ben oltre lo Stato che la famiglia governava, arrivando fino a Loreto, in Terra Santa, e a Goa in India. Doni di varia natura e tipologia, corone votive, fornimenti per altari, calici, ostensori, reliquiari, paliotti etc., che allora come oggi si leggono nella duplice forma di testimonianza del culto dei granduchi e delle granduchesse legati per varie ragioni ai santuari beneficiati dalle sontuose suppellettili sacre, ma anche di ricchezza, di cultura e di gusto, testimonianza indubbia del loro potere economico e politico, o meglio come “veicolo dell’articolato sistema di sacralizzazione del potere”.
L’esposizione dei magnifici oggetti è ordinata secondo il loro legame con i vari personaggi della famiglia Medici che effettuarono le donazioni. Questi doni si prestano ad una duplice lettura: sia come attestazione della devozione dei granduchi e delle granduchesse, sia come manifestazione di ricchezza, di cultura e di gusto, testimonianza indubbia del potere economico e politico al governo. È evidente infatti che offerte di questo pregio superlativo – e di costo esorbitante, in proporzione – trascendevano l’ambito di una devozione privata e personale, e si presentavano come omaggi “ di Stato” al superiore potere della Divinità.
Gli oggetti in mostra, tutti di qualità altissima, trovano con la Cappella dei Principi, dove sono ambientati, un dialogo stretto ed esplicito che valorizza gli uni e l’altra con rimandi, rapporti e richiami palesi, in un tutt’uno davvero unico al mondo.
La mostra si apre con un dipinto di anonimo raffigurante il momento, il 5 marzo 1570, in cui Cosimo I de’Medici ricevette l’investitura a granduca da papa Pio V (1566 – 1572). Il titolo granducale era nuovo rispetto a quelli fino ad allora assegnati da papi o imperatori, cosicché anche la corona, che non poteva esemplarsi su modelli esistenti, dovette essere creata ex novo; la vediamo rappresentata in questo dipinto oltre che nel proclama originale conservato presso l’Archivio di Stato di Firenze. La medesima corona del Granduca fu poi presa a modello per incoronare le sacre immagini mariane dei maggiori santuari della Toscana, a testimonianza della sacralità assunta come forma ufficiale di propaganda e affermazione politica. Ne sono manifestazione evidente in mostra le due corone realizzate per la cosiddetta
Madonna delle lacrime della Santissima Annunziata di Arezzo.
Nell’ambito del Giubilieo 1600, Ferdinando I Medici rinnovò con un prezioso donativo il legame tra il casato e le chiese del territorio, inaugurando una tendenza
che segnò l’intero secolo, in un continuo crescendo. L’8 settembre (festa dell’Annunciazione) il granduca consegnò alla Basilica servita un prezioso paliotto d’argento opera dell’orafo cortonese Egidio Leggi, come ex voto in segno di gratitudine per la guarigione del figlio Cosimo da una grande infermità, considerata
una grazia della Madonna più venerata di Firenze.
Ancora più importante è la figura di Cristina di Lorena, moglie di Ferdinando I
 dal 1589. A lei si devono importanti donativi per i santuari della toscana, fra i quali quelli per la Madonna al Sasso e per Santa Maria della Fontenuova a Monsummano.
Con il granduca Cosimo II e la consorte Maria Maddalena d’Austria, si intensificarono le commissioni di grandiose opere di oreficeria sacra. Tra i capolavori promossi dalla coppia granducale spicca lo straordinario ex voto con l’effige in pietre dure di Cosimo II. Su iniziativa di Maria Maddalena la cappella dell’ex appartamento di Ferdinando I de’Medici in Palazzo Pitti divenne un sontuoso sacello domestico:
la Cappella delle reliquie, dove trovò stabile sistemazione la ricca collezione di oltre seicento reliquie, entro custodie eseguite in materiali preziosi, come il Reliquiario di san Guglielmo duca di Aquitania  e quello di una delle Compagne di sant’Orsola,
 eseguiti nel 1619 per Cosimo II che li offrì in dono alla moglie.
Vittoria della Rovere ereditò dalle granduchesse Cristina di Lorena e Maria Maddalena d’Austria la Cappella delle reliquie di Palazzo Pitti con il suo tesoro di sacri resti e di reliquiari. Animata da una fervida fede, contribuì in maniera determinante alla crescita di questo insieme, arricchendolo di reliquie provenienti spesso dalle catacombe romane.
Il granduca Cosimo III rivestì un ruolo di assoluta centralità nella storia della devozione medicea. Le cronache del tempo informano delle sue numerose donazioni ai molti luoghi di culto, così come della sua ossessiva ricerca e raccolta di reliquie di santi. Il suo regno fu segnato dalla commissione di un rilevante numero di custodie destinate alla sua Camera in Palazzo Pitti, ma anche da portare addosso alla persona sotto forma di raffinati medaglioni, così da trarre beneficio dai poteri terapeutici che la devozione del tempo attribuiva ai sacri resti.
Si deve a Cosimo III il rinnovamento dell’ambiente artistico di corte. Fu infatti il Granduca a fondare, nel 1673, l’Accademia fiorentina a Roma con sede a palazzo Madama, permettendo agli artisti fiorentini di aggiornarsi sul gusto barocco.

Vi si formarono vari illustri artefici destinati a dominare la scena cittadina tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, primi tra tutti Giovan Battista Foggini e Massimiliano Soldani Benzi, importando le novità di origine romana nel linguaggio fiorentino delle arti espresso in tutte le sue forme.
Nel Reliquiario di san Casimiro del Soldani Benzi si avverte la rottura rispetto alla tradizione precedente per il complesso dinamismo dell’opera: un vero trionfo di fiori, nastri e figure a tutto tondo in libertà, che raggiunge effetti di straordinaria efficacia. La suggestione teatrale di chiara impronta barocca è evidente anche nelle opere di Giovan Battista Foggini, caratterizzate dall’impiego di pietre dure con effetti cromatici sorprendenti.
 Il Reliquiario di san Sigismondo si pone al vertice di tale percorso: attorno alla pur carismatica presenza della reliquia, l’apparato narrativo e ornamentale diviene sempre più coinvolgente e scenografico.


Maria Paola Forlani

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