mercoledì 23 marzo 2016

"Fece di scoltura di legname e colorì"

“Fece di scoltura di legame e colorì”


La scultura del Quattrocento
 in legno dipinto a Firenze

La Galleria delle statue e delle Pitture degli Uffizi ospita fino al 28 agosto 2016 un’esposizione temporanea che propone per la prima volta al pubblico, attraverso un nucleo di circa cinquanta opere, la scultura in legno dipinto del Quattrocento fiorentino, un tema studiato con passione da Margrit Lisner e Alessandro Parronchi (a cui l’evento è stato dedicato), ma ancora di nicchia e noto quasi solo agli addetti ai lavori, seppure costellato di opere di grande valore artistico (catalogo Giunti).
Nella Firenze del Quattrocento la scultura dipinta, in linea col primato artistico della scultura, costituiva un imprescindibile modello espressivo per tutti gli artisti. In particolare, il tema del corpo sofferente sulla croce, modellato con un nuovo sentito naturalismo nei crocefissi di Donatello e Brunelleschi, fu oggetto di riferimento per l’attività delle generazioni successive di artisti.


Accanto alla qualificata produzione di crocifissi, si intagliarono anche statue della Madonna, di santi e santi eremiti dai corpi tormentati o preservati dal dolore, busti-ritratto, statue al centro di politici misti e statue per l’arredo liturgico.
Donatello e Brunelleschi dipingevano, presumibilmente, oltre che modellare le loro opere, poiché la policromia costituiva insieme all’intaglio un elemento essenziale per il raggiungimento di quel naturalismo integrale che perseguivano nelle loro opere. Tra questi capolavori vanno ricordati i superbi Crocifissi di Santa Maria Novella e di Santa Croce.

Numerosi scultori invece per dipingere le loro opere si rivolgevano ai pittori.
Neri di Bicci, che aveva a Firenze una bottega avviata in via Porta Rossa, fu uno tra i pittori più richiesti per lo scopo: dipinse busti intagliati da Desiderio da Settignano e crocefissi da Benedetto da Maiano; con un monaco-scultore, don Romualdo da Candeli, il pittore intrattenne un rapporto di stretta collaborazione, descritto nelle sue ‘Ricordanze’, ed attestato dalla Maddalena al Museo della Collegiata di Sant’Andrea a Empoli, presente in mostra.

Proprio la ‘Maddalena’, in virtù di quella eseguita da Donatello (Museo dell’Opera del Duomo, Firenze), costituì un tema prediletto dagli scultori, come attestano in mostra l’avvenente Maddalena di Desiderio da Settignano dalla chiesa di Santa Trinita, terminata da Giovanni d’Andrea, un allievo del Verrocchio, e quella di
Francesco da Sangallo del Museo diocesano di Santo Stefano al Ponte.
Proprio la Maddalena di Santa Trinita è un esempio di quel polimaterismo che, adottato da Donatello per la sua Maddalena, venne poi recuperato, nei suoi valori tecnico – espressivi, da Pollaiolo e da Verrocchio: la statua, ricorda Vasari come “bella quanto più dir si possa”, non è infatti eseguita esclusivamente in legno, poiché ricavata da un tronco di salice, ma con la parte posteriore in sughero e i capelli modellati in gesso.

La mostra illustra inoltre come nell’ultimo quarto del Quattrocento alcune grandi botteghe a conduzione familiare, sollecitate dalle richieste del mercato artistico, si fossero specializzate nella realizzazione di crocifissi e non solo per le chiese, bensì destinati anche alla devozione privata e conventuale. Tale produzione fu predominante tra gli esponenti della più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino: i fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano, i Sangallo – Giuliano, Antonio il Verrocchio e Francesco -, i Del Tasso – Francesco e Leonardo – e Baccio da Montelupo. In mostra si segnalano in particolare per qualità il Crocefisso della SS. Annunziata di Giuliano da Sangallo, quello del Museo Civico di San Gimignano di Benedetto da Maiano dipinto dal pittore Cosimo Rosselli e l’esemplare del Convento di San Marco di Baccio da Montelupo, già appartenuto al Savonarola.

Il Tondo Doni, che fa parte del circuito della mostra, è uno fra i più famosi episodi di collaborazione tra pittore, Michelangelo, e un esponente della più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino, Francesco del Tasso, che eseguì la cornice con grottesche, fantasiosi racemi e protomi umane, quasi sicuramente su disegno dello stesso Michelangelo.



Un’altra occasione di stretta collaborazione tra pittori e scultori scaturiva dalla realizzazione dei polittici misti: grandi altari con al centro una statua di legno e pannelli laterali dipinti. La bellezza di queste scenografiche composizioni, che spiccavano nello spazio liturgico, è attestata in mostra dal Sant’Antonio Abate
(Museo Nazionale di Villa Guinigi, Lucca), parte centrale dello smembrato polittico Bernardi e opera di Benedetto da Maiano, originariamente affiancata da due tavole di Filippino Lippi raffiguranti ciascuna due santi (oggi al Norton Simon Museum di Passadena) e del Tabernacolo (Sant’Ambrogio, Firenze) intagliato da Leonardo Tasso e dipinto dallo stesso Filippino Lippi.

In questo racconto della scultura in legno dipinta si dà conto anche delle presenze ‘straniere’ a Firenze. Nel 1457 è documentato in città il misterioso scultore
Giovanni Teutonico, un artista itinerante – autore in città di alcuni lavori tra i quali il
Crocifisso, in mostra, della chiesa di Sant’Jacopo Soprano -, che veicolò esperienze d’oltralpe in Italia, nel segno di un naturalismo volto a una cruda, teatrale, resa espressiva del dramma umano, diverso da quello donatelliano, comunque ispirato ad una veridica, condivisa umanità. Presente in mostra anche il San Rocco della Santissima Annunziata di Veit Stoss, un altro apprezzato scultore d’oltralpe che venne salutato da Vasari come <<miracolo di legno (…) senza alcuna coperta di colore>>. Nel pensiero classicista cinquecentesco, la scultura lignea era infatti chiamata a esibire il materiale e non più ricoprirlo con la policromia.



Tra gli itinerari nelle chiese fiorentine, alla ricerca di famose sculture lignee,
 come non rimanere affascinati dal Crocifisso in legno di tiglio

  eseguito per la chiesa di Santo Spirito dal giovane Michelangelo, poco dopo la morte di Lorenzo il Magnifico. Con i vari passaggi e spostamenti, in tempi travagliati, dell’opera non se ne conservò più l’identità. Si deve all’intuito di Margrit Lisner il suo definitivo riconoscimento (1964) che, nei primi tempi ebbe qualche tenace oppositore, ma che ora trova consenso unanime tra gli studiosi.

Il giovane artista, all’interno di Santo Spirito, avrebbe, dunque, eseguito la sua prima opera pubblica, il Crocifisso, in cui egli sembra evocare la perfezione fisica dell’uomo Dio attraverso la bellezza armonica delle proporzioni e il chiarore dell’incarnato, concetti neoplatonici ripresi da sant’Agostino, che nei suoi scritti aveva manifestato una crescente devozione al Cristo e al Cristo crocifisso di cui lodava la bellezza intesa come regolarità e la luminosità, in quanto caratteri specifici e visibili della sua divinità.


Maria Paola Forlani



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