venerdì 20 aprile 2018

FRANK LLOYD WRIGHT


Frank Lloyd Wright

Tra America e Italia


Si è aperta a Torino, fino al 1 luglio, la mostra Frank Lloyd Wright tra America e Italia, nella sede della Pinacoteca Agnelli, a cura di Jennifer Gray. Attraverso fotografie, oggetti, cataloghi, litografie e disegni originali, la mostra esplora il pensiero di Wright in merito all’architettura organica, a partire dal suo primo soggiorno in Italia nel 1910 fino alla sua ultima visita nel 1951, portando l’accento sul suo coinvolgimento nel dibattito architettonico, urbanistico e paesaggistico italiano.

L’occasione del primo viaggio di Wright in Italia nel 1910 fu sia personale che professionale. Durante i mesi trascorsi a Firenze e Fiesole, Wright lavorò a un’importante pubblicazione sulla sua opera che sperava lo avrebbe aiutato a diffondere le sue idee a un pubblico più vasto. Conosciuto come porfolio Wasmuth
dal nome dell’editore berlinese, il libro conteneva oltre un centinaio di litografie con dettagli in inchiostro dorato e colori pastello.
Fiesole fu anche il rifugio per Wright: dopo aver abbandonato la famiglia per l’amante e anima gemella Mamah Borthwick Cheney, la coppia trovò intimità e conforto nella città collinare italiana. Wright scrisse delle loro lunghe passeggiate per le strade e le terrazze che si affacciano sulla valle sottostante. “Nessun edificio veramente italiano è a disagio in Italia [] collocato in modo naturale come le pietre, gli alberi e i declivi dei giardini che costituiscono un tutt’uno con esso”.

L’esperienza toscana diventa centrale in questo momento della sua vita, perché oltre a offrire una parentesi di pace e serenità personale, rappresenta la scoperta del nostro paesaggio e del Rinascimento che incideranno sottilmente su una sua visione dell’architettura che già aveva offerto prove di grande maturità, aprendo la strada a un’idea di modernità originale che avrebbe pesantemente influenzato il dibattito internazionale nei decenni a seguire.

Lungo tutto il secolo appena passato l’Italia è stata uno di quei luoghi in cui alcuni architetti moderni hanno cercato ispirazione e contatto con quei caratteri originali necessari a sognare opere per un tempo nuovo quasi a dispetto di un’ideologia della modernità che predicava il grado zero e l’annullamento di ogni tradizione.
La mostra torinese presenta un percorso costruito in sei sezioni tematiche che si concludono con il secondo, importante passaggio del maestro americano in Italia in occasione del grande evento dedicato al suo lavoro nel 1951, a Firenze presso Palazzo Vecchio.

L’Italia e molti degli intellettuali e autori profondamente influenzati dall’opera di Wright, diventano un’originale chiave di lettura per ripensare il pensiero e il lavoro di questo <<campione>> americano che sedusse l’Europa attraverso un ideale <<organico>> di architettura moderna che mutò radicalmente lo sguardo delle nuove generazioni di architetti.

L’esposizione torinese è un’importante occasione per osservare da vicino una serie di progetti originali che raccontano uno dei disegnatori d’architettura più talentuosi e visionari del ’900, ma anche per riprendere contatto con quelle opere che diedero forma concreta a una visione coraggiosa, marcata da un forte individualismo e della possibilità di costruire ambienti moderni, armoniosi e in diretto contatto con la natura.
Intuizione che si concretizzò inizialmente nella famosa serie delle <<Praire House>>, abitazioni moderne costruite soprattutto nella periferia residenziale di Chicago all’inizio del ’900, in cui linea orizzontale della casa, paesaggio circostante e spazi interni si fondono in un’unica visione.


Quest’intuizione diventa il vero contributo originale americano alla cultura figurativa del ‘ 900, e rappresenta l’alternativa a una lettura industriale, meccanizzata e standardizzata del Movimento moderno che si stava affermando in Europa, garantendo la possibilità di un dialogo originale tra essere umano, natura, progresso e forme dell’ambiente.


L’ideale <<organico>> portato avanti da Wright si oppone a quella che Le Corbusier definisce come <<la macchina per abitare>>, producendo effetti importanti in Italia e nel Nord Europa a partire soprattutto dal secondo dopoguerra. Quello che impressiona nel lungo percorso creativo di questo maestro dell’architettura moderna è la capacità di modellare coerentemente le opere progettate intorno a una visione radicale che non cerca mediazioni come la Casa sulla Cascata del 1934, agli uffici per la Johnson Wax del 1936 o il Guggenheim Museum a New York realizzato tra il 1943 e il 1959.


Si tratta d’icone che ebbero un peso enorme sulla cultura europea e italiana del secondo dopoguerra che cercava opere moderne capaci di rappresentare la misura dell’uomo e costruire un dialogo inedito con il paesaggio naturale. Figure centrali come quella di Bruno Zevi, fondatore dell’Associazione per l’Architettura Organica (APAO) e uno degli intellettuali centrali nella cultura italiana post-fascista, Giancarlo De Carlo, Carlo Scarpa e Giuseppe Samonà, architetti e professori raccolti nella facoltà di Architettura di Venezia, sono tra gli autori maggiormente influenzati dal lavoro di Wright e ambasciatori della sua visione.


La mostra del ‘ 51 a Firenze è una delle tappe di un tour europeo che raccontava Wright come il campione delle libertà individuali e dell’American Way of Life in un clima montante da Guerra fredda. Ma la tappa italiana diventa un momento importante di ritorno alle origini e di messa a punto di una linea culturale ormai condivisa. Da Firenze Wright si sposta a Venezia dove accetta l’incarico per la progettazione del Memoriale Masieri, un piccolo palazzo sul Canal Grande che viene progettato ma non sarà mai costruito. Un sogno italiano di modernità nel cuore della Laguna che rimane uno sei lasciti più emozionanti dell’opera di un autore che ha insegnato alla modernità a riconciliarsi con Madre Terra.


Maria Paola Forlani

Nessun commento:

Posta un commento