lunedì 9 aprile 2018

GENOVESINO e PIACENZA


Genovesino

E Piacenza


A Piacenza si è aperta la mostra Genovesino a Piacenza, fino al 10 giugno 2018, nei locali di Palazzo Galli, nata, non solo sulla scorta del successo della fortunata monografica di Cremona, la prima mai dedicata a Luigi Miradori detto il Genovesino (Genova ?, 1605 – 1610 – Cremona, 1616), ma come esposizione di grande personalità nel percorso e nella rivalutazione dell’artista.

Infatti, nonostante, il ridotto numero di opere presenti (una ventina, su due sale), la rassegna piacentina s’impone come mostra dotata di una propria autonomia, e tesa a far luce su almeno tre argomenti principali. Il primo riguarda la presenza del Genovesino a Piacenza. Il secondo è la persistenza dei rapporti con Piacenza dopo il trasferimento del Genovesino a Cremona, che decretò il successo del pittore.
Il terzo è il legame tra pittura e l’incisione nella produzione dell’artista d’origini liguri, ma lombardo d’adozione.

I curatori, gli stessi della mostra cremonese, (Francesco Frangi, Valerio Guazzoni e Marco Tanzi), offrono delle chiare indicazioni circa il titolo scelto per la rassegna: non Genovesino a Piacenza, bensì Genovesino e Piacenza, perché “ la congiunzione”, scrivono in catalogo, “lascia immediatamente intuire che le riflessioni sui rapporti del pittore con la città emiliana non si possono concentrare sul tempo breve del suo soggiorno”, perché troppo scarne sono le informazioni sull’effettiva presenza a Piacenza di Luigi Miradori, e perché il rapporto con la città proseguì anche dopo il trasferimento in Lombardia.

Genovesino appare pittore abbastanza agevole da riconoscere dal punto di vista dello stile, quanto difficoltoso nella costruzione di una sequenza cronologica inequivocabile per quanto riguarda le opere non datate: la varietà dei registri espressivi messi in campo appare infatti particolarmente articolata e ondivaga, tanto che l’artista nel corso di uno stesso anno può firmare dipinti molto diversi l’uno dall’altro, risultando spesso spiazzante.

Ѐ da sottolineare con maggiore determinazione nella produzione genovese, e in particolare nel San Sebastiano curato da Irene dell’Annunciata di Pretoria, oltre all’influsso di Simon Vouet, anche quello – soprattutto nella bellissima invenzione del corpo del santo che taglia in diagonale la tela – di Domenico Fiasella e di opere come la Morte di Melagro presso l’Accademia Linguistica. Risulta poi più chiara, sia in quest’opera che nella Suonatrice di liuto di Palazzo Rosso la precoce fascinazione dello stile di Domenico Feti, che appare già accesa, anche se messa in relazione con momenti più avanzati della carriera del Miradori.

Sembra invece meno scontata e seducente l’attenzione dimostrata per momenti e protagonisti del classicismo emiliano di primo Seicento, da Guercino – del quale –  “adultera”, dichiarandolo, l’invenzione nella Decollazione di San Paolo – a Guido Reni, modello per la Madre ebrea e la Zenobia; ma anche a personaggi che, nelle gerarchie attuali, potrebbero essere considerati, a torto degli outsider, come il modenese Bartolomeo Schedoni nei suoi anni farnesiani, la cui influenza sulla pittura padana è più diramata e capillare di quanto finora accertato.


Emerge poi emblematico, dopo gli stenti degli esordi sotto la Lanterna e a Piacenza, il formidabile cambio di passo, di rotta e, soprattutto, di fortuna avvenuto a Cremona: è significativo che nello stesso giro di anni – i primi nella città lombarda – riesca subito ad assorbire un’enorme fetta di mercato che comprende sia gli ordini religiosi e i personaggi più in vista dell’aristocrazia, non solo strettamente locale, ma anche un notabilato di media schiera. Esemplare a questo proposito il fatto che, più o meno nello stesso momento, ritragga uno dei personaggi più importanti della Milano seicentesca, Teodoro Trivulzio, e realizzi una pala d’altare “spagnolissima” per la vedova di un notaio di Castellone che aveva fatto carriera negli uffici dell’amministrazione dello stato.

I <<frutti diversi, li quali formano una specie di ghirlanda>> aprono un altro tratto della vicenda di Genovesino: la rassegna degli inventari settecenteschi consegna un numero ingente di dipinti con <<frutta e regali>> e altro ancora ci si imbatte in <<vasi de fiori naturali>>, <<delli animali>>, <<fiori diversi>>, vari <<paesi>>. Esiste quindi una produzione sommersa di nature morte del Genovesino, dipinti con frutta, fiori e paesaggi: per trovarne alcuni inseriti che diano il polso della maestria in questi generi giova quindi rimandare, ad esempio, al Ritratto del bambino già Cook, dove fanno bella mostra di sé, sul capitello di marmo sbrecciato, alcune mele e un grande cedro giallo oro come il giubbetto del ragazzino.

Suggestiva è la Sacra Famiglia (collezione Giambattista Riccardi, Piacenza).
La scena è ambientata in prossimità di un contesto architettonico appena accennato, in una luce di crepuscolo che colora di toni rosati il cielo e il paesaggio collinare rapidamente tratteggiato sullo sfondo. La Vergine si sporge dalla sedia tendendo le mani al Figlio che avanza traballante verso di lei; in secondo piano Giuseppe si appoggia al bastone e guarda la scena con orgoglio. Ai suoi piedi una cesta di vimini con strumenti del cucito illustra l’occupazione quotidiana di Maria, mentre in basso a sinistra due conigli, uno bianco e uno nero, sostano in prossimità di un calamaio e di alcuni frammenti di penna. A destra, invece, la culla è coperta da un panno rimboccato che termina in corrispondenza del cartiglio con firma e data e che riporta l’iscrizione <<Aloysius Miradori, pinsit, 1639>>.


Nel percorso espositivo di grande suggestione è l’Adorazione dei Magi (Parma, Galleria Nazionale). I personaggi di quest’opera quasi s’incastrano l’uno con l’altro nello spazio compresso della tela: forte è il contrasto tra le vesti sobrie della Madonna seduta su un sacco o del San Giuseppe che si china sotto il tetto sbrecciato, rispetto alla parte destra della tela in cui il corteo dei Magi risplende con vesti operate, bordure di pelliccia, turbanti, cappelli, piume, armi da parata…Gesù bambino giocherella curioso con gli ori dello scrigno mentre il Mago davanti a lui, deposto il turbante in terra, lo contempla.


Maria Paola Forlani

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