lunedì 9 settembre 2019

Michaelina Wautier




Michaelina Wautier

Venezia presenta una mostra, ma soprattutto un grande ritorno di tre icone della pittura veneziana realizzate da Tiziano e Tintoretto, raramente concesse in prestito. Accanto ai pittori veneziani, i maestri fiamminghi sbarcano in Laguna portando negli spettacolari appartamenti del Doge a Palazzo Ducale esclusivi capolavori provenienti dai principali musei delle Fiandre e da alcune collezioni private.
Fino al 1º marzo 2020 la Fondazione Musei Civici di Venezia, assieme alla città di Anversa, VisitFlanders e la Flemish Community, presenta Da Tiziano a Rubens. Capolavori da Anversa ed altre collezioni fiamminghe, una mostra curata da Ben Van Beneden, direttore della Rubenshuis di Anversa.
In questo straordinario percorso si può ammirare anche un’opera di Michaelina Wautier, una pittrice belga dall’eccezionale talento, originaria di Mons e della quale si conosce, ad oggi molto poco. Di questa donna, una delle rare artiste attive nel Seicento, sappiamo che nacque nel 1617 e che morì nel 1689, fu attiva a Bruxelles – dove si stabilì intorno al 1640 con il fratello maggiore, il pittore Charles Wautier, con il quale condivise una splendida villa nei pressi della chiesa di Notre-Dame de la Chapelle – e che vendette quattro delle proprie opere all’arciduca Leopoldo Guglielmo per la sua collezione.
Michaelina è stata un’artista molto diversa dalle altre e della stessa Artemisia Gentileschi. A differenza delle sue colleghe, infatti, questa donna, la cui vita resta avvolta nel mistero, si interessò ad una molteplicità di temi, dai soggetti mitologici ai ritratti, dai paesaggi alle nature morte, dalle teste infantili ai personaggi dai tratti particolarmente marcati e alle scene di vita quotidiana. Mentre Artemisia seguì le impronte del padre, Michaelina seguì quelle del fratello. Non sappiamo se all’epoca in cui visse sia stata famosa, ma quello che è certo è che i soggetti che ritrae sono talvolta personaggi illustri, come ad esempio Martino Martini. E da questo si evince che fu certamente un’artista importante e conosciuta.
In mostra risplende l’opera “ritratto di due fanciulle come Sant’Agnese e Santa Dorotea”
Questo dipinto occupa un posto speciale nell’opera di Michaelina Wautier, per la sua atmosfera intima e i colori vividi. Vi compaiono i ritratti di due fanciulle presentate come sante, un genere noto come portaits historiés. Far posare due ragazze per un dipinto di due giovani martiri era perfettamente in linea col pensiero della Controriforma, che considerava la verginità il valore più alto in assoluto. L’attributo di Sant’Agnese è un agnello, metafora del suo desiderio di prendere in sposo Cristo, l’Agnello di Dio (agnus Dei); la vergine martire Dorotea, invece, è rappresentata con il suo simbolico ramo di palma e il cesto di rose e mele da lei inviato a Teofilo, un pagano che la dileggiava ma che finì per convertirsi ed essere a sua volta martirizzato. Le ragazze stanno una accanto all’altra, ma non si guardano negli occhi. Non guardano nemmeno oltre la cornice del dipinto. La loro espressione malinconica rivela la condizione di un identico destino. Fanno parte di una storia all’interno della quale comunicano senza parole. Michaelina le mostra mentre arrossiscono, per enfatizzare la pudicizia. Di solito la pittrice sceglieva le sue modelle tra le persone che le erano più vicine, quindi è assolutamente plausibile che queste due ragazze fossero sue parenti. Lo spazio scuro è chiuso sul fondo da una tenda dalle ampie pieghe, contro le quali le figure si stagliano splendidamente. Il rosso ha un ruolo speciale nella scena, perché enfatizza il colore del sangue e di conseguenza del martirio delle giovani sante. Una tonalità profonda del drappeggio sullo sfondo è ripresa dalla tovaglia a sinistra in primo piano. Michaelina Wautier dimostra in quest’opera il suo valore di ritrattista, per il modo esperto e convincente con cui cattura sia la fisonomia che la psicologia delle ragazze. Allo stesso tempo, è evidente quanto il suo stile raffinato e spesso morbido contribuisca alla delicatezza della scena.
Maria Paola Forlani

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