lunedì 30 settembre 2019

GIAPPONISMO


Giapponismo

Venti d’Oriente nell’Arte Europea
1860 – 1915
Vicino, tra le lacche e i netzkè,
rosseggia sul polito pavimento,
in un vaso giallastro, una peonia.
Corrado Govoni, Ventagli giapponesi, in Le Fiale, 1903


Isolato per più di due secoli, attorno al 1854 il Giappone iniziò ad instaurare rapporti diplomatici e commerciali con gli Stati Uniti, la Russia, i Paesi Bassi, l’Inghilterra e la Francia. Le prime merci giapponesi ad essere commercializzate furono soprattutto la ceramica e la lacca, seppure confluite nella cosiddetta moda della “cineseria”. Con la diffusione e l’affermazione di una cultura borghese legata soprattutto agli ambienti artistici e letterari d’avanguardia la diffusione la diffusione di stampe ed oggetti di arredo nipponico divennero un fenomeno alla moda più specifico che influenzò i più svariati settori dell’Arte e della Cultura occidentale in un periodo compreso tra il 1880 e il 1915, noto col termine <<Japponisme>>.

Il periodo di maggior diffusione di questa tendenza coincise appieno con lo sviluppo del modernismo e del gusto Liberty, cui si sovrappose più volte, e che terminò con l’avvento del Decò, immediatamente dopo il primo grande conflitto mondiale, quando l’interesse si allargò ulteriormente verso i paesi dell’estremo oriente in generale.
Tra secondo Ottocento e primo Novecento, i movimenti delle Art § Crafts in Gran Bretagna, della Secessione Viennese in Austria, dell’Art Nouveau in Francia e del Liberty in Italia interpretarono la cultura artistica del Giappone, in chiave soprattutto decorativa e formale.

La ceramica giapponese tradizionale si distingueva dalle analoghe forme cinesi ed orientali per il gusto sintetico della forma e per l’uso delle decorazioni semplici di natura fitomorfica. Sin dalla loro  prima apparizione sul mercato europeo questi modelli furono immediatamente copiati, seppure aggiornando lo stile al gusto europeo, da molti artisti in ragione della loro grande popolarità, ma soprattutto per la coincidenza con gli sviluppi di una tendenza, il Liberty, che andava modernizzato e semplificato i barocchismi del periodo precedente. Molti artisti iniziarono, in quel periodo, a dedicarsi alla produzione di vasi e ceramiche con asimmetrici pattern floreali proclamando in tutta Europa la supremazia del design giapponese.

Avvertito come misterioso e diverso, il Giappone aveva senza dubbio affascinato gli artisti che, reinterpretando i temi delle stampe Ukiyo-e  (mondo fluttuante), erano giunti ad una sintesi straordinaria tra le esigenze e gli schemi dell’arte occidentale e lo spirito sintetico ed essenziale dell’arte nipponica. Nella Francia fin de siécle l’influenza dell’arte giapponese, sia a livello formale sia contenutistico, aveva coinvolto oltre alle industrie del bronzo, del giardinaggio e della carta da parati, i più svariati settori artistici, dalla pittura alla grafica, dalla ceramica all’architettura influenzando artisti come Manet, Monet, Degas e Van Gogh che, col dipinto Rami di mandorlo in fiore, mostrava l’equivalente del romanzo-manifesto del giapponismo Manette Salomon dei fratelli Goncourt. L’influenza esercitata dalle stampe giapponesi sugli impressionisti e sui postimpressionisti e del loro peso nel rinnovamento della visione artistica occidentale fu notato già all’epoca dai più autorevoli critici e letterati, da Marcel Proust e Edmond de Goncourt che arrivò ad affermare: “Tutto l’impressionismo è dovuto alla contemplazione e all’imitazione delle stampe luminose del Giappone”.
Il focus della mostra è rigorosamente incentrato sull’influenza del Giappone nelle arti figurative europee nel periodo compreso tra il 1862 e il 1920.

La mostra, composta, mirabilmente, a Palazzo Roverella di Rovigo, a cura di Francesco Parisi (catalogo Silvana Editore) ha quattro principali aeree di approfondimento, incentrate ciascuna sulle dinamiche di penetrazione del gusto japoniste in Europa.
In ciascuna delle quattro sezioni ovviamente è stato dedicato ampio spazio ai manufatti giapponesi (ceramiche, tessuti, xilografie, bronzi) restituendo altresì un’idea delle grandi esposizioni universali che misero in comunicazione i due mondi, testimoniando attraverso vari gradi d’influenza, fino alla fedele trascrizione, il dialogo con le opere degli artisti europei. La mostra presenta inoltre alcune sezioni esterne, dedicate all’architettura, all’illustrazione del libro, all’incisione e al manifesto.

La complessità del fenomeno giapponese è dispiegata attraverso una lettura parallela, dunque, tra le diverse nazionalità europee: Inghilterra, Francia, Paesi Bassi, Germania, Austria, Boemia e Moravia, Italia.
La London World Fair del 1862
Una grande quantità di prodotti giapponesi fu esposta a Londra nel 1862, per la cura del Ministero britannico plenipotenziario di Cina e Giappone Sr Ruthford Alcock che per l’occasione prestò la sua intera collezione. Grazie a questa incredibile esposizione, molti artisti vittoriani – o quelli della successiva generazione confluiti nel cosidetto Aesthetic Moviment – iniziarono ad inserire elementi del Paese del Sol Levante, spesso in maniera decontestualizzata, attratti dalla loro qualità decorativa (Albert Moore, James Tissot, James Guthrie, etc…)
James McNeill Whistler occupò fondamentalmente all’interno di questa ‘vague’ costruendo il dipinto attorno ad un singolo colore e ritraendo le sue modelle in Kimono e ventaglio sullo sfondo di paraventi giapponesi presi dalla sua preziosa collezione. Mostrando interesse per la struttura compositiva delle stampe giapponesi fu il primo ad utilizzare gli schemi.

Il principale designer giapponese inglese fu senza dubbio William Goodwin il cui stile fu ribattezzato <<anglojapanese>>. Dopo l’uscita nel 18877 del catalogo della sua intera opera, Art and forniture by Edward Goodwin, lo stile sintetico dei suoi lavori interessò i principali fautori del modernismo.
Le Esposizioni Universali di Parigi del 1867 e del 1878 e Siegfried Bing
All’Esposizione di Parigi del 1867 il padiglione giapponese presentava principalmente arti decorative, porcellane, abbigliamento, armature, lacche, calligrafie, paraventi e una vastissima collezione di stampe ukiyro-e, mentre l’Esposition del 1878 fece diventare popolare il ventaglio, tanto che numerosi artisti italiani, francesi e inglesi si dedicarono alla decorazione di questo oggetto (Degas, Caillbotte, Jean Louis Forain, Camille Pissaro, Paul Gauguin. L’imitazione delle stampe luminose giapponesi ebbe, notoriamente, un peso notevole nel passaggio del naturalismo all’impressionismo, sia per la scelta dei soggetti sia per l’abbandono dell’uso di colori bituminosi.

Nel 1888 in un articolo pubblicato su “L’art indépendante” il critico Edouard Djardin scrisse a proposito della mostra del Gruppo del XX che alcune tele evocavano indiscutibilmente “ L’imagerie et le japonisme”.
Nel 1890, inoltre, Siegfried Bing, proprietario della galleria l’Art Nouveau, da cui prese il nome il corrispettivo indirizzo estetico organizzò L’Exposition de la gravure japonaise all’E’cole National des Beaux Arts di Parigi iniziando al contempo la pubblicazione trilingue (inglese, francese e tedesco) della rivista “Le Japon Aetistique” (1888 1891); presente in mostra nella sua edizione di lusso). Considerata come un perfetto esempio di arte decorativa, l’arte giapponese rispondeva perfettamente anche alle aspirazioni dei pittori. Nelle arti decorative il maggior rappresentante del gusto giapponese fu senza dubbio Galileo Chini che seppe miscelare abilmente forme e modelli orientali con uno stile assolutamente personale.

Fondamentale per conoscenza dell’arte giapponese in Italia fu anche la grande Esposizione internazionale di Roma del 1911. Il padiglione realizzato dal governo giapponese a Villa Giulia, un edificio in stile giapponese classico, presentava per la prima volta al pubblico più di cento opere d’arte tra sculture e pitture, soprattutto contemporanee, di artisti ormai pienamente “occidentalizzati” e altri ancora saldamente legati alla tradizione (come, tra gli altri, Kikuhi Hobun e Kawabata Goyusho).
Illustrazione e icisione

Fu soprattutto la grafica europea, nei decenni di passaggio tra Ottocento e Novecento, a far tesoro del ricchissimo serbatoio di idee contenute nelle stampe giapponesi come testimoniano numerosi esempi che vanno dall’evocazione delle scene di intimità domestica di Utamaro alle composizioni in diagonale di Hiroshige interpretate in maniera quasi palmare dagli incisori europei.

Completa la sezione una ricca esposizione di libri illustrati tra il 1880 e il 1924.
I Manifesti
La complicata tecnica delle stampe giapponesi venne tradotta in Europa attraverso l’uso della litografia policroma più adatta ad essere riprodotta su scala industriale. Jules Chéret fu tra i pionieri del manifesto artistico e, avendo studiato a Londra, ebbe notevole familiarità con le stampe giapponesi e con il loro tipico uso delle tinte piatte. A raccogliere la sua eredità fu Tolouse-Lautrec che divenne in breve uno degli autori di manifesti più apprezzati. La sua grande passione per le stampe giapponesi è testimoniata sia dal suo monogramma, derivato da una stampa smunga, sia dalla passione di abbigliamento di abbigliarsi in Kimono, ma soprattutto per il tributo alle incisioni  di Utmaro con la realizzazione del manifesto per la ditta Divan Japonais (1893).

Nell’arte del manifesto l’influenza del Giappone giunge anche nella mitteleuropa: ne sono un esempio i motivi decorativi utilizzati dai maggiori esponenti della Secessione viennese; ugualmente in Italia, complice la produzione pubblicitaria legata ai melodrammi d’ispirazione orientale (si pensi a Iris di Mascagni o alla Madame Butterfly e alla Turandot di Puccini), favorì la produzione di manifesti di chiara ispirazione giapponese.

M.P.F.




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