martedì 5 maggio 2020

BORROMINI


Borromini

A distanza di trent’anni dall’ultima edizione, la monografia di Portoghesi su Francesco Borromini architetto (Bissone, Lugano 1599 – Roma 1667) viene ripubblicata da Skira in una versione ampliata e per la quasi totalità riscritta dal suo autore, con un formidabile apparato fotografico aggiornato.
Il libro di Paolo Portoghesi è voluminoso, denso e seducente, sono immagini e riflessioni di grande rilievo, che raccontano la vita e le opere di uno dei più grandi protagonisti del Seicento visto da un altro protagonista, questa volta del Novecento. Un genio ricostruito da un maestro della critica, autore di originali studi del Rinascimento a oggi e architetto protagonista di una delle stagioni più felici, e controverse, del secondo novecento italiano.

Portoghesi ripercorre la vita dell’artista in un viaggio che ne ricostruisce l’animo e la spinta creativa. Ad emergere è un genio “diverso”, dotato di una personalità forte, fatta di chiaroscuri su cui domina una orgogliosa indipendenza. Siamo difronte così a un’analisi di un precoce talento, del suo volersi continuamente superare, spiccare dal contesto, vincere a ogni costo e per indiscutibile merito fino all’apice, che ne rappresenta il rovesciamento. Fino ad ammalarsi nella spasmodica ricerca della bellezza e del suo ideale.

Descritto nella letteratura come un visionario plastico, un architetto stravagante, bizzarro, Borromini è cresciuto in un contesto artistico alla cui definizioni ha contribuito forse più di ogni altro, così dimostra la risonanza che lo stesso ha avuto lungo i secoli, che tracciano il percorso luminoso di un uomo contraddittorio come la sua ardente fede a quella vena di segretezza che sfocerà poi nel suo inaspettato suicidio. Il libro di Portoghesi è il racconto di un continuo tentativo, da parte del Borromini, di esibire il mondo con la sua complessità semantica e iconografica, rispettando al tempo stesso le leggi dell’architettura, a lui contemporanea, nello sforzo di avvicinarsi al divino tramite opere dai volti ascetici e spirituali che s’inseriscono nello spazio urbano assecondandolo e nel contempo spettacolarizzandolo nella pratica architettonica, pensata come sorpresa nel tessuto in cui s’inerisce.

Inconsapevolmente Portoghesi sembra far proprio un prezioso suggerimento di Ernst Gombrich, che in apertura della Storia dell’arte raccontata, scriveva “Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo artisti”. E infatti Borromini viene descritto, come un arista “necessario”, con una personalità che non avrebbe potuto non esserci, ma che resta ancor tutta da scoprire, sospesa tra il passato e il suo presente, sempre interpretato in un senso visionario.
Prendiamo Sant’Ivo alla Sapienza, (1642-1660), tra le opere più mature di Borromini. L’edificio sorge su uno dei lati minore del cortile del Palazzo della Sapienza, un cortile cinquecentesco, eretto da Giacomo della Porta qualche decennio prima in forme solenni, dominato dall’andamento rettilineo del doppio ordine dei pilastri e da quello curvilineo delle arcate. Molti studiosi affermano che il Borromini, per non contrastare troppo con il cortile, che non poteva distruggere, si sarebbe limitato a demolire il lato ove sorge Sant’Ivo, sostituendo, al doppio porticato rettilineo, un’esedra. È probabile invece che questa preesistesse, come sembra dimostrare una pianta prospettica di Roma, stampata nel 1618, ossia oltre vent’anni prima.

Borromini però si inserisce coerentemente su questa concavità, proporzionandole e contrapponendole la sovrastruttura convessa nella parte centrale, concava lateralmente, in corrispondenza con l’allontanamento reciproco delle ali, che la raccordano all’alto lanternino, sormontato da una spirale posta a sostegno di una gabbia di ferro, costruita da stecche incurvate elasticamente, sopra cui si trova la croce.

Questo finale è la soluzione più immaginosa, più personale, ma anche più criticata di tutta l’architettura del Borromini; è stata paragonata al gioco pirotecnico della girandola che termina il suo moto vorticoso facendo improvvisamente apparire, come magia, un oggetto (in questo caso la croce), fra lo stupore del pubblico, quello stupore che, come è noto, è una componente così importante della concezione barocca.

Inserito nel contesto delle più complesse vicende dell’arte seicentesca, e al tempo stesso sospeso in una sorta di splendido isolamento, il volume di Portoghesi delinea la peculiarità e il carattere dell’artista, dal suo sorgere sulla scena romana alla diffusione e proliferazione delle sue opere, anche attraverso la simbologia argomentata nelle facciate, nei dispositivi planimetrici o nella scansione scultorea degli spazi. Un’esperienza unica e diretta, sentimentale e personale che nemmeno le pagine di un maestro del Novecento possono sostituire.

M.P.F.
Borromini
Paolo Portoghesi
Skira, Milano 2019
632 pp., colore e b.n
Euro 90

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