giovedì 14 gennaio 2021

L'Annunciata di Antonello di Messina

 


L’Annunciata

Antonello da Messina

L’Annunciata di Antonello da Messina potrebbe essere, come il soggetto indica e come è avvenuto per altre sue opere, uno dei due scomparti di un’opera più ampia, in questo caso un’Annunciazione: di qua l’Annunciata, di là l’angelo annunciante. Si chiama Annunciata, ed è da sola, e in tal senso è assoluta, condividendo lo stesso segreto della Dama dell’ermellino: implicare l’altro.


La forza della Dama dell’ermellino, rispetto alla Gioconda (che è un po’ facile, sta con tutti e guarda tutti, ed è la ragione del suo fascino straordinario), è che la figura ritratta – Cecilia Gallerani – ignora chi ha difronte: guarda di lato e guarda uno solo, ossia Ludovico il Moro, a lei destinato.

Il suo uomo di questo dittico matrimoniale è dentro di lei, e lei è parte sua. E noi, nel guardarla, sentiamo anche l’altro. È il segno più alto di una indicazione di totalità, di fedeltà per un uomo, che in quest’opera si vede proprio perché ne siamo esclusi: la vediamo mentre lei sembra discorrere con un altro.


Mentre La dama dell’ermellino è un’opera che, pur stando da sola senza bisogno del compagno, al compagno sembra rivolgersi. L’Annunciata di Antonello ha lo sguardo che viene verso di noi per poi arrestarsi come un ripensamento, per un’improvvisa necessità di concentrazione in sé che vediamo sottolineata dal gesto a mezz’aria della mano. Un gesto sospeso, come di indugio su un pensiero troppo intenso per lasciarlo fluire, e che sul piano della composizione sembra escludere la presenza, nella scena comune pur se un altro scomparto, dell’angelo annunciante. L’iconografia, infatti, vorrebbe l’angelo in posizione laterale, mentre lo sguardo e il gesto presuppongono una prospettiva frontale.


L’angelo, dunque non c’è. O meglio, non si vede. Perché nell’Annunciazione-senza angelo di Antonello, la Vergine ha l’angelo dentro di sé. E questa credo che sia la ragione di massima modernità di quest’opera, con la figura che nella sua solitudine stringe in sé l’altro elemento.


Ecco allora spiegato il senso del movimento della mano: intercettare la parola dell’angelo. Che è parola, appunto: non apparizione, non corpo. E il velo serrato sul capo come un burqa segna come una chiusura che è già grembo, che è già il Gesù che è dentro di lei, mentre l’altra mano stringe il manto quasi a sigillare questa pienezza. E incornicia il bellissimo volto facendone risaltare la trasparenza meravigliosa, simile a quella del marmo pario usato dagli scultori della Magna Grecia.

Sublime trasparenza di una pelle che così rivela, e al tempo stesso celebra, il frutto divino che già contiene.


M.P.F.

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