martedì 27 ottobre 2015

Fattori

FATTORI


Giovanni Fattori (Livorno, 1825 – Firenze, 1908) è stato portavoce di una pittura potente, capace di interpretare, lungo tutta la seconda metà del XIX secolo, le trasformazioni della visione moderna.
Promossa dalla Fondazione Bano e dal comune di Padova, si è aperta un’antologica dell’artista toscano a Palazzo Zabarella, fino al 28 marzo 2016, ( catalogo Marsilio) che vuole riproporre al pubblico l’immagine di uno dei maggiori protagonisti dell’arte europea.

La mostra, a cura di Francesca Dini, Giuliano Mateucci e Fernando Mazzocca, presenta oltre cento dipinti, in grado di ricostruire, attraverso un avvincente taglio cronologico e insieme tematico – dallo spavaldo Autoritratto del 1854, dove riusciva già a rivelare la forza rivoluzionaria della sua pittura, agli ultimi capolavori eseguiti agli inizi del Novecento – la straordinaria versatilità di una lunga vicenda creativa che lo ha visto cimentarsi con tematiche e generi diversi.

Fattori, infatti passava con estrema facilità dal paesaggio, di cui è stato uno dei più sorprendenti interpreti, al ritratto, raggiungendo risultati altrettanto strabilianti, alle cronache della storia contemporanea, dove è stato testimone di un’epoca, alle scene di vita popolare, dove ha saputo condividere gli stati d’animo e i problemi più drammatici dell’umanità.

Il percorso allestito all’interno di Palazzo Zabarella ripercorre interamente la sua carriera, dalla rivoluzione dei Macchiaioli, in cui ha avuto un ruolo di primo piano, affidata ai piccoli formati delle leggendarie tavolette, come La rotonda di Palmieri,
fino al raggiungimento, nei grandi formati, di una dimensione epica dove si riflettono i mutamenti storici e sociali che hanno trasformato il nostro Paese, alla sperimentazione infine di nuovi territori iconografici e formali che lo ha avvicinato, per i risultati raggiunti, ad altri geni solitari quali Courbet o Cézanne.

La rotonda Palmieri  è il risultato di tutta una serie di studi e di appunti svolti nell’estate del 1866: è un’impressione dal vero, la più semplice, apparentemente, e la più diretta, filtrata in realtà attraverso una lunga meditazione di cui sono testimonianze straordinarie i disegni di un intero taccuino.
Quello che colpisce di più del piccolo dipinto è la composizione, nella quale ogni elemento figurativo sembra obbedire ad una legge superiore di equilibrio e convenienza costruttiva. Il ritmo della composizione, secondo il quale si svolge il gruppo delle signore; lo straordinario senso di eleganza, determinato da una raffinata scelta di toni. La pennellata, con la quale il pittore ritaglia le figure contro il bianco della striscia del cielo, l’azzurro del mare, sull’ocra calda dell’ombra della tenda, in un gioco raffinato di profili e di riflessi. Infine, il risalto della visione che cattura l’attenzione e guida alla lettura del percorso pittorico indicato dai pali in controluce, che tagliano lo spazio chiaro del cielo unendo le due strisce della tenda e della spiaggia.

Le sue doti, dopo una formazione in ambito accademico, si sono rivelate piuttosto tardi, quando, superati i trent’anni, aveva partecipato alle animate serate del Caffè Michelangelo che è stato a Firenze il vivace palcoscenico della cosiddetta rivoluzione della “macchia”. Ma rispetto agli altri pittori che hanno fatto parte del movimento dei Macchiaioli, Fattori si è subito manifestato per la sua forte e indipendente personalità, capace delle scelte più coraggiose.

Nei drammatici capolavori della maturità, come Il muro bianco (In vedetta) o Lo staffato, espressi con un linguaggio che va oltre la dimensione della denuncia per raggiungere una prospettiva universale, Fattori è stato lucido interprete della delusione di una nazione, uscita dal Risorgimento, che non ha saputo realizzare quegli ideali di giustizia sociale in cui le giovani generazioni avevano creduto.
 Questa è la sua grandezza, che ne ha fatto subito un classico, paragonato ai maestri del Quattrocento, come Beato Angelico, Paolo Uccello, ma anche a Goya e al contemporaneo Cézanne.

Lo staffato è una delle più note opere di Fattori, colpisce soprattutto il movimento, l’irrompere del cavallo al galoppo sfrenato nello spazio del quadro.
Alla corsa del cavallo, resa da una pennellata realmente motoria, si oppone la disperata resistenza delle braccia e delle mani dello staffato che lasciano sul terreno una scia di sangue.

La tensione della scena, caratterizzata dal dinamismo della composizione, è resa in tutta la sua drammaticità dalle pennellate come “strappate” e dal colore scarno, quasi monocromo, che “ritaglia” le sagome scure del cavallo e del soldato (fortemente disegnate in alcuni particolari, come le giberne e i finimenti del cavallo e come le scarpe e le mani del soldato) sullo sfondo ocra del terreno solcato dalle tracce rosse di sangue e su quello bianco-azzurro del cielo, macchiato di nuvole gialline.



Vissuto a partire dal 1846 a Firenze, e però ritornato spesso nella sua Livorno, ma anche a Castiglioncello, il luogo prediletto dai Macchiaioli, di cui ha saputo rappresentare, come pochi, la limpida luce. La sua ultima meta è stata la Maremma toscana, una terra aspra e selvaggia che, grazie ai capolavori dei suoi ultimi anni, è entrata nel mito, come la Provenza di Cézanne o la Polinesia di Gauguin.    

A contatto con scenari naturali diversi, con differenti situazioni storiche, quando evoca nei suoi quadri a tema militare le vicende del nostro Risorgimento, con gli uomini, di cui sa rendere sia la condizione esistenziale che quella sociale, il suo stile cambia continuamente: dalla splendida pittura a macchie colorate e abbagliate delle tavolette giovanili, alle visioni più drammatiche caratterizzate da una nuova impostazione prospettica e da un disegno sempre più potente dei dipinti della maturità, sino alla deformazione delle ultime opere che sembrano anticipare, nella loro sconcertante modernità, le avanguardie del Novecento.


Fattori sempre particolarmente inquieto, emarginato dai compagni che lo sfuggono quando addirittura non lo deridono, che lo citano appena nei loro scritti come nel caso di Signorini e del Cecioni, Giovanni Fattori trova la forza di andare avanti nel proprio temperamento, e nella sua terra, nei ricordi e negli ideali sempre presenti.

Nello straordinario Autoritratto del 1894, presente in mostra, opera capitale dell’artista livornese, si coglie come il Fattori abbia saputo carpire i tratti essenziali del suo tempo, la parabola delle generazioni uscite dalla rivoluzione del 1848.

Il patriota, il galantuomo, l’anima appassionata e schiva, lo spettatore sente presenti ed esaltati in questo ritratto meravigliosamente privo di retorica, nel quale il Fattori ha saputo esprimere con commovente semplicità i suoi sentimenti più alti: l’amore per l’uomo e per la vita, la fiducia nei valori morali, l’intimità familiare, l’amore per l’arte, la fermezza dei principi ed insieme l’ironia sottile di chi può giudicare uomini e cose alla luce di una profonda esperienza umana. Fattori ha lasciato in questo ritratto l’immagine compiuta di se stesso in uno dei momenti più alti della sua attività creatrice. In mezzo alla corruzione dilagante fra i ceti dirigenti italiani, di fronte a ciò che egli avverte sempre più come “tradimento” degli ideali di libertà e di progresso che avevano dato vita al nostro Risorgimento, questa opera, acquista quasi un significato di simbolo.


Maria Paola Forlani

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