lunedì 19 ottobre 2015

Juan Mirò

JOAN MIRÒ

Soli di notte

“Per me Mirò era la grande
libertà…In un certo senso era
assolutamente perfetto. Mirò non
poteva sognare un punto senza
segnarlo giusto. Era così
veramente pittore che gli
bastava lasciar cadere tre
macchie di colore sulla tela
perché essa cominciasse ad
esistere, e fosse un quadro”
A.Giacometti 1967



Ha ben detto Jacques Dupin che la diversità di Mirò sta nell’essere “Un distratto attento, un sognatore sveglio”.
Eppure la vita di Joan Mirò, se confrontata con la sua opera, con l’impeto passionale e immaginifico delle sue storie, è di una semplicità che quasi sconcerta. Non esistono su di lui grandi aneddoti, non si parla di scandali, di passioni e trasgressioni che non siano legati al suo lavoro e all’amore per la sua terra, la Catalogna.

Non esistono episodi che abbiano fatto talmente scalpore da annoverarlo tra i pittori e i poeti maudits. Per un lungo periodo si affianca a Breton e ai surrealisti, a Tristan Tzara e al movimento dada. Ma anche questo seguire surrealista, questo forse troppo raccontato coinvolgimento dadaista è in Mirò pacato e autonomo, non scende mai a patti con le regole formalmente più chiassose, ideologicamente più rivoluzionarie dei due movimenti. La sua personalità discreta, ma al contempo ferma alla realtà a cui senza clamore intensamente partecipa, si confronta con i fatti attraverso un’attività frenetica ma coerente, nata da colori e da figure che con sapienza passano dalla gioia del fantastico alla crudeltà del contorno più netto, alla tragedia del mostruoso, metafora di guerra e di ingiustizia, di sangue.

L’arte di Joan Mirò che si circonda di silenzi e di solitudine, di misteri e di giochi, in sostanza non è altro che la naturale verità di un uomo che insegue, accondiscende ed esaspera, aggredisce e inventa, riflette l’esistenza. Con la propria grande creatività, unita ad un’incontestabile modestia, all’esaltazione del sogno come nella lucidità della disperazione, Mirò esorcizza il male e insieme, forse, preserva anche se stesso dall’indagine più profonda del dolore.

C’è una fase del percorso artistico di Joan Mirò che straordinariamente chiede ancora di essere indagato e che mostra un artista in dialogo con se stesso, alla ricerca di un rinnovamento creativo di contenuti. Questo percorso viene presentato in una mostra evocativa che ricostruisce l’universo di Mirò negli ultimi trent’anni di vita, l’atmosfera dei suoi studi maiorchini, la ricerca della solitudine e la radicale trasformazione della sua arte.

S’intitola “Joan Mirò a Villa Manin. Soli di notte” la nuova e appassionante mostra attualmente visibile a Villa Manin di Passariano (UD) aperta fino al 3 luglio 2016.
Un progetto espositivo originale, a cura di Elvira Càmara Lòpez e Marco Minuz (catalogo Skira), che propone circa 250 opere, tra grandi dipinti, sculture, disegni, schizzi e progetti dell’artista provenienti dalla Fundaciò Pilar i Joan Mirò di Palma di Maiorca e dalle collezioni degli eredi - arricchiti da documenti originali e tanti  oggetti personali dell’artista e da un eccezionale focus di circa 50 scatti fotografici su Mirò dei maggiori fotografi del tempo: Bresson, Mulas, Brassai, List, Man Ray, Halsmann, Gomis e tanti altri.

Soprattutto la mostra vuole evocare i luoghi, gli ambienti, i suoni, le emozioni che hanno accompagnato il pittore catalano negli ultimi trent’anni di vita trascorsi a Palma di Maiorca, ispirando dal 1956 al 1983, anno della sua morte, un radicale mutamento espressivo e tecnico del suo lavoro e della sua straordinaria arte.


In quegli anni Mirò, nella solitudine dei due studi di Maiorca – lo studio Sert progettato per lui dall’amico architetto Luis Sert nel 1956 e lo studio Son Boter successivamente realizzato per le sculture di grandi dimensioni, in un vicino edificio del XVII secolo – intraprende un processo di profonda analisi critica del lavoro precedente e di trasformazione.
A 63 anni l’artista ha finalmente a disposizione un luogo dove isolarsi e vivere a stretto contatto con le sue opere; non un semplice contesto architettonico, bensì uno spazio protetto, dove far maturare nel tempo i suoi dipinti, favorendo dialoghi fra essi; un grande spazio per “sognare” e “avere allucinazioni”; un contenitore per essere soli davanti alla vertigine della creazione. Concetto rimarcato dalle sue stesse parole: “ quando non avevo uno studio tutto mio, stavo molto scomodo: avevo bisogno di solitudine”.

“Soli di notte”, suggerisce il titolo della mostra.
Nella luce dell’isola di Palma, la pittura di Mirò, si distilla e perde cromatismi per lasciare sempre più spazio al segno immediato e violento, alla progressiva semplificazione del gesto espressivo e al nero: un nero drammatico e definitivo, che testimonia la ricerca dell’artista intorno ai temi del silenzio e del vuoto.


Una produzione ben diversa dalle opere del periodo surrealista degli anni Trenta, come evidenzia, emblematicamente Oiseaux dans un Paysage del 1974: dipinto scelto come immagine della mostra, proveniente da una collezione privata di Palma di Maiorca.


L’ambiente in cui finalmente può operare gli permette anche nuove sperimentazioni: messo da parte il cavalletto Mirò lavora prevalentemente a terra; può camminare o sdraiarsi liberamente sul quadro; lascia che il colore fresco in eccesso coli sulla tela; utilizza per i fondi delle opere – quando policrome – la stessa trementina usata per pulire i pennelli: macchie, spruzzi, sgocciolature casuali dalle quali Mirò procede a tracciare dei segni violenti e dinamici; i personaggi scaturiscono dallo sfondo, delineati sempre da linee nere molto forti.


Per Mirò non era casuale, del resto la scelta di Palma di Maiorca per lo studio “rifugio”, lo studio “scrigno” o “caverna”, ove l’atto creativo doveva potersi liberare, sollecitato da un universo di oggetti, di pennelli, colori e annotazioni: piccole frazioni di sogno e di senso da riassemblare alla ricerca di nuovi linguaggi. A Maiorca era nata sua madre e il pittore di Barcellona fin da piccolo trascorreva dai parenti le vacanze estive; qui aveva conosciuto Pilar, divenuta sua moglie nel 1929, e nell’isola spagnola si era rifugiato, tra il 1940 e il 1942, durante l’invasione nazista della Francia ove viveva da tempo.
Mirò cercava un luogo dei ricordi, un luogo degli affetti, un luogo dell’anima per ripensare la sua arte e trasformarla completamente.


Un sentire interiore e una lenta maturazione espressiva – stimolata anche con l’incontro con la cultura giapponese e della grande stagione dell’espressionismo astratto americano del secondo dopoguerra – che diventano il filo conduttore del percorso espositivo a Villa Manin, capace di condurre il visitatore nell’universo privato di questo artista onirico e passionale e, attraverso esso, di far comprendere la trasformazione della sua arte.

Maria Paola Forlani






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