martedì 13 marzo 2018

LA COLLEZIONE CAVALLINI SGARBI


La Collezione Cavallini Sgarbi

Da Niccolò dell’Arca a Gaetano Previati
Tesori d’arte per Ferrara


L’intérieur è l’assillo dell’arte. Il collezionista
è il vero inquilino dell’intérieur
(W:Benjamin)

Una cosa bella è gioia per sempre;
cresce di grazia; mai passerà
nel nulla; ma sempre terrà
una silente pergola per noi, e un sonno
pieno di dolci sogni, e salute, e quieto fiato
(J. Keats)

L’opera d’arte apre, a suo modo, l’essere dell’ente.
Nell’opera ha luogo questa apertura, cioè lo svelamento,
cioè la verità dell’ente. L’arte è il porsi in opera della verità
(M. Heidegger).


Al Castello Estense di Ferrara si è aperta, fino al 3 giugno 2018, la mostra “La collezione Cavallini Sgarbi. Da Niccolò a Gaetano Previati. Tesori d’arte per Ferrara.”

L’esposizione è dedicata alla Collezione Cavallini Sgarbi, 130 opere tra dipinti e sculture, dall’inizio del Quattrocento alla metà del Novecento, raccolte in circa quarant’anni di collezionismo appassionato da Vittorio Sgarbi.
Elisabetta Sgarbi, per il tramite della propria Fondazione, ha voluto che questa mostra raccontasse, nel luogo più rappresentativo della città di Ferrara, non solo la storia di una straordinaria impresa culturale, ma anche quella di una famiglia ferrarese che all’arte ha dedicato tutte le proprie energie.

Vittorio Sgarbi, dopo aver acquistato, a partire dal 1976, 2800 titoli delle 3500 fonti, trattati, guide e storie locali, databili dal 1503 al 1898, elencanti da Julius von Schlosser nella sua Letteratura artistica, cuore di una biblioteca con oltre 200.000 volumi, il critico d’arte capisce “che collezionare quadri e sculture poteva essere più divertente che possedere il libro più raro”. Quest’illuminazione scaturisce dall’incontro con Mario Lanfranchi, collezionista e maestro perfetto, il primo dei tanti da lui incontrati dopo aver abbandonato il dogma universitario che lo aveva indotto a “guardare le opere d’arte come beni spiritualmente universali, ma materialmente indisponibili”. Così, dal 1984, incrociando il San Domenico di Niccolò dell’Arca, Sgarbi decide che non avrebbe “più acquistato ciò che era possibile trovare, di cui si poteva presumere l’esistenza, ma soltanto ciò di cui si poteva presumere l’esistenza, per sua natura introvabile, anzi incercabile”. Come lui stesso afferma “la caccia ai quadri non ha regole, ma ha obiettivi, non ha approdi, è imprevedibile. Non si trova quello che si cerca, si cerca quello che si trova. Talvolta molto oltre il desiderio e le aspettative”. Da collezionismo “rapsodico, originale, che ambisce a rapporti esclusivi con le opere come persone viventi”, è sorta, incontro dopo incontro, una vera e propria sintesi dell’arte italiana, tra pittura e scultura, dal XV secolo ai giorni nostri, che riflette la cultura ampia e multiforme del collezionismo.

La mostra si apre con un capolavoro del Rinascimento italiano, il San Domenico in terracotta modellato nel 1474 da Nicolò dell’Arca e collocato in origine sopra la porta “della vestiaria” nel convento della chiesa di San Domenico a Bologna, dove tra il 1469 e il 1473 l’artista attese all’Arca del santo da cui deriva il suo pseudonimo.
Immagine potente, intensa, di estremo vigore naturalistico, il busto rivela l’impareggiabile capacità del maestro pugliese di infondere la vita alle sue figure, così vere che paiono respirare. Il destino porterà Vittorio Sgarbi a incrociare un’altra opera di Nicolò dell’Arca, un’Aquila in terracotta che appare una prima idea per quella posta sul portale d’ingresso della facciata della chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna.
Seguono i notevoli capitelli con sibille eseguiti nel 1484 dal celebre scultore ticinese Domenico Gagini per la venerabile confraternita di Santa Maria dell’Annunziata di Palermo, le terrecotte di Matteo Civitali e Agostino de Fundulis, e una straordinaria raccolta di preziosi dipinti, perlopiù su tavola, eseguiti tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento: ai pittori nati o attivi a Ferrara – Giovanni Battista Benvenuti detto l’Ortolano, Nicolò Pisano, Benvenuto Tisi detto il Garofalo – si affiancano autori rari come Liberale da Verona, Jacopo da Valenza, Antonio da Crevalcore, Giovanni Agostino da Lodi, Nicola Filotesio detto Cola da Crevalcore, Johannes Hispanus, Bernardino da Tossignano, Francesco Zaganelli, Bartolomeo di David, Lambert Sustris.


Il focus sulla “scuola ferrarese” prosegue agli inizi del XVII secolo con dipinti di documentata provenienza. Spicca tra questi “Cristo morto sorretto da due angeli” di Sebastiano Filippi, detto il Bastianino.
Nell’opera suggestiva è l’apparizione dal sepolcro aperto del corpo senza vita di Cristo, le cui possenti membra, nell’abbandono conferitogli dalla morte, compongono una posa serpentina. Seguono capolavori di Gaspare Venturini, Ippolito Scarsella detto lo Scarsellino, Camillo Ricci, Giuseppe Caletti, le straordinarie opere di Carlo Bononi tra cui la possente “Sibilla” il cui carattere scenografico e pittorico rileva un carattere di palinsesto profondamente manierista.
Contestualmente si possono ammirare la Cleopatra di Artemisia Gentileschi, la Madonna assistita dagli angeli di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, il San Girolamo di Jusepe Ribera, la Vita umana di Guido Cagnacci e il Ritratto di Francesco Righetti di Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino. Quest’ultimo dipinto si pone al vertice di una straordinaria galleria di ritratti che compendia lo sviluppo del genere dall’inizio del Cinquecento alla fine dell’Ottocento, tra pittura e scultura.

Altrettanto avvincente è il percorso tra dipinti “da stanza” di tema sacro, allegorico e mitologico del Sei e del Settecento: una selezione di sorprendente varietà, e di alta qualità, che riflette gli interessi sconfinati e la frenesia di ricerca del collezionista, con maestri della scuola veneta, lombarda e toscana.


Tra le sculture, le delicate creazioni modellate da Giuseppe Mazza, Cesare Tiazzi, Petronio Tadolini e Giovanni Putti documentano la fortuna della plastica in terracotta a Bologna e in Emilia. Tra Ottocento e Novecento la mostra torna su Ferrara e sui suoi artisti: Gaetano Previati, Giovanni Boldini, Filippo de Pisis, Giuseppe Mentessi, Adolfo Magrini, Giovanni Battista Crema, Ugo Martelli, Augusto Tagliaferri, Carlo Parmeggiani, Arrigo Minerbi, Ulderico Fabbri.

Uno dei capolavori più affascinanti e misteriosi della storia della scultura italiana del Novecento è rappresentato dalla straordinaria figura di Alceo Dossena e dagli interrogativi che ancora la sua arte pone forse come abile falsario o come uomo fuori tempo. Nella collezione Sgarbi spicca il Busto di Caterina Savelli. Si tratta di una raffigurazione eseguita nello stile di Mino da Fiesole nella quale tutto rimanda alle peculiarità di Alceo: dall’accurata resa e rifinitura del delicato volto morbidamente levigato, nel quale la conformazione del naso, del mento e degli zigomi pronunciati corrispondono felicemente al maestro toscano a cui l’opera si è ispirata.



Maria Paola Forlani

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