martedì 1 ottobre 2019

HELENE SCHJERFBECK


Helene Schjerfbeck


Forse sarà per il cognome impronunciabile: Schjerfbeck.  Forse perché pittrice donna nata alla metà dell’Ottocento, 1862. Forse perché finlandese. Sta di fatto che Helene Schjerfbeck in Italia, ma anche in Inghilterra, non la conosce quasi nessuno. In questo momento, una mostra alla Royal Accademy di Londra (fino al 27 ottobre) corregge questa ignoranza nei confronti di un’artista definita da alcuni il Munch femminile e finlandese.

Helene Schjerfbeck nasce ad Helsinki nella famiglia di Svante Schjerfbeck e Olga Johanna Schjerbeck. All’età di quattro anni la sua vita viene segnata da un incidente, quando cade da una scaletta e si frattura l’anca. Non si riprenderà mai completamente e zoppicherà per il resto della sua vita. Non può quindi andare a scuola e ha invece tempo per disegnare, dipingere e sviluppare il suo talento  artistico.

Bambina prodigio, nel 1873, a soli 11 anni, cinque anni più giovane degli altri allievi, si iscrive alla scuola di disegno della Società d’Arte Finlandese. Nel 1876 suo padre muore di tubercolosi e la situazione economica della famiglia diventa difficile. Tuttavia Helene riesce a continuare gli studi, grazie al sostegno di insegnanti che credono nel suo talento.

Verso la fine del decennio Helene, ancora giovane, comincia a diventare famosa in ambito finlandese.
Nel 1879 vince un premio in una competizione organizzata dalla Società d’Arte Finlandese e nel 1880 partecipa a una mostra promossa dalla medesima società. Lo stesso anno riceve una borsa di studio dal Senato Imperiale russo per viaggiare. Parte così per Parigi assieme all’amica Helena Westermarck.

A Parigi Helene entra in contatto con le correnti artistiche internazionali e le opere di artisti famosi, come Pierre Puvis de Chavannes, Ėdouard Manet e Paul Cézanne. La giovane artista si fa pubblicità partecipando a mostre, vendendo le sue opere quando possibile e lavorando come illustratrice.
Da Parigi si reca anche a Firenze, Praga, San Pietroburgo, in Bretagna a Pont-Aven e in altri luoghi di particolare interesse artistico.

Al suo rientro in Francia studia presso la “Scuola di pittura per signore” di Madame Trélat de Vigny, con Léon Bonnat e Jean-Léon Gérôme.
Nel 1881 si iscrive all’Académie Colarossi, dove insegnano, tra gli altri, Rafhaël Collin (1850-1916) e Gustave Couetois (1852-1924), e si reca in Bretagna con altre due pittrici, Marianne Stokes (1855-1927) e Maria Wiik (1853-1928). In Bretagna conosce un pittore inglese con il quale si fidanza per breve tempo. Il fidanzamento infatti finisce nel 1885. AllExpo di Parigi del 1900 riceve una medaglia di bronzo per il dipinto “Convalescete”. Soggernerà a lungo anche in Cornovaglia dove avrà ospiti Marienne Stokes e suo marito, il pittore inglese Adrian Scott Stokes.

Nel 1890, quando si riaffacciano problemi di salute e la sua situazione economica diventa difficile, Schjerfbeck torna in Finlandia e comincia ad insegnare alla scuola di disegno della Società d’Arte Finlandese. Ma dopo due anni i problemi di salute diventano così gravi da non permetterle più di insegnare. Si trasferisce quindi a Hyvinkää dove abita con la vecchia madre.
A Hyvinkää, però, Helene rimane fuori dalla vita artistica finlandese, e pertanto si affida ad una fitta corrispondenza con i suoi numerosi contatti che le inviano riviste d’arte e libri. In essi ella può osservare riproduzioni di quadri in bianco e nero. Conosce così, per esempio, l’opera di Vincent van Gogh e di Pablo Picasso.

Nel 1917 Helene viene “riscoperta” da Gösta Stenman, che organizza la sua prima mostra personale e diverse esposizioni in Svezia. Ed è grazie all’entusiasmo di Stenman che ella trova il suo spazio nel mondo dell’arte, dominato dagli uomini. Dopo aver raggiunto finalmente una condizione professionale stabile, Helene continua a lavorare, diviene abbastanza famosa e gode di guadagni sicuri per la prima volta nella sua vita.

Helene Schjerfbeck trascorre i suoi ultimi anni in Svezia, dove si trasferisce con la madre nel 1944  dove muore nel 1946 a ottantatrè anni.
La retrospettiva londinese presenta 65 opere fra ritratti, paesaggi, nature morte, ripercorrendo l’evoluzione della carriera dell’artista, dal naturalismo d’ispirazione francese fino all’evoluzione in senso astrattista della maturità.

Con Edvand Munch, Vilhelm Hammershoi e Anders Zorn, la finlandese Helene Schjerfberk ha riscoperto un  ruolo importante nello sviluppo dell’arte scandinava moderna, e appartiene a quella scena pittorica femminile che ebbe in Europa importanti esponenti, ma che per varie ragioni è stata a lungo dimenticata, e soltanto negli ultimi anni sta conoscendo la dovuta valorizzazione, grazie a numerose retrospettive come questa che hanno riportato all’attenzione del pubblico anche artiste come Paula Rego, Lotte Laserstein, Dorothea Tanning. Il talento non è dato soltanto dall’abilità tecnica, ma anche dal saper rinnovare il proprio percorso artistico sulla scorta delle naturali evoluzioni degli stili e delle istanze. Partendo dal naturalismo figurativo di fine Ottocento, Schjerfbeck ha saputo spingersi fino al simbolismo della Secessione e all’Espressionismo Astratto degli anni Trenta, dimostrando attenzione e sensibilità ai cambiamenti cui andava incontro l’Europa della sua epoca.

I suoi modelli di riferimento per la pittura di paesaggio furono Cézanne e Corot, ovvero i più sperimentali dell’epoca, il primo con la geometria, il secondo con i giochi di luce; e ciò dimostra l’attenzione di Schjerfbeck per la pittura moderna, la sua determinazione ad allontanarsi dall’accademismo e produrre una pittura vibrante, capace di rispondere alle sollecitazioni dell’epoca. A titolo di esempio, Ombre sulla roccia per atmosfere La casa dell’impiccato, due scene deserte nelle quali però si avverte costante la presenza dell’individuo, ciò dà la misura della prospettiva europea di Schjerfbeck, che vi infondeva anche un certo afflato letterario, che, nella ritrattistica, riecheggia il clima angoscioso di Ibsen, Musil, Mann.

Quest’ultima tendenza la si osserva a partire dagli anni Dieci, con il progressivo distacco dal naturalismo in favore di un avvicinamento alle tensioni psicologiche ed emotive tipiche della Secessione viennese e tedesca; la donna è il suo soggetto di riferimento, ne racconta le angosce e lo stato d’animo nella difficile Europa d’anteguerra. In questo  genere di pittura, Schjerfbeck era passata, dall’arco di appena venti anni, fra il 1890 e il 1910, dalle atmosfere neorococò di Watteau al misticismo psicologico e drammatico di El Greco e Velazquez.


Nella mostra di Londra la sala più entusiasmante è quella con tutti i suoi autoritratti, dal primo del 1885 all’ultimo sessant’anni dopo del 1945, un anno prima di morire. Sempre con lo sguardo rivolto altrove, il suo volto è attraversato allo stesso tempo dal trascorrere della vita che dalla trasformazione continua e radicale della sua pittura. Anche se scontato, non si può vederla come una Cindy Sherman ante litteram. Ma più che altro, la potenza di questi autoritratti piazzano Helene Schjerfbeck in mezzo ai giganti della pittura moderna da Goya a Francis Bacon, passando attraverso Lucian Freud. L’ultimo autoritratto in particolare, in cui lei è già gravemente malata, riesce a cogliere in modo romantico e drammatico se stessa al confine tra la vita e la morte, scheletro che sta per diventare fantasma o uno spirito.



Maria Paola Forlani

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