giovedì 17 ottobre 2019

I VOLTI DEL BUDDHA


I Volti del Buddha

Dal perduto Museo Indiano di Bologna


A Bologna si è aperta la mostra I volti del Buddha a cura di Luca Villa con la collaborazione di Antonella Mampieri (Musei Civici d’Arte Antica), allestita negli spazi del Museo Civico Medievale di Bologna fino al 28 aprile 2019. L’evento vuole ricomporre per la prima volta un’ampia parte delle raccolte appartenute al Museo Indiano di Bologna, oggi suddivise e conservate in tre diverse sedi: lo stesso Museo Civico Medioevale, il Museo di Palazzo Poggi di Bologna e il Museo di Antropologia dell’Università di Padova.

L’esposizione consente di riscoprire un rilevante patrimonio di oggetti e fotografie che illustrano l’archeologia e l’arte buddhista asiatica al tempo in cui il Museo Indiano, noto anche come Museo d’Indologia e Museo Etnografico Indiana Orientale, rimase aperto dal 1907 al 1935.
Il Museo Indiano, allestito nel Palazzo dell’Archiginnasio nelle sale oggi in uso alla Biblioteca, nacque per ospitare inizialmente la cospicua collezione di oggetti, fotografie e manoscritti acquisiti da Francesco Lorenzo Pullè (1850-1934), professore ordinario di Filologia Indoeuropea e Sanscrito dal 1899 alla Regia Università di Bologna, durante il viaggio compiuto nel 1902 in Vietnam, Ceylon, India e Pakistan in occasione della sua partecipazione al Congresso Internazionale degli Orientalisti ad Hanoi.


Lo studioso aveva in animo di creare un museo che rappresentasse non solo l’area geografica a cui dedicava da molti anni le sue ricerche, ma l’intero continente asiatico. Tuttavia, il suo obiettivo potè dirsi raggiunto solo quando il Comune e l’Università di Bologna, enti che avevano partecipato alla creazione del Museo Indiano, si impegnarono a incrementare la collezione originale con acquisti e prestiti temporanei.

Al momento dell’apertura, nelle stanze riservate al Museo il pubblico poteva osservare fotografie e oggetti raccolti durante le tappe del viaggio di Pullè attraverso l’India britannica, acquistati allo scopo di illustrare gli aspetti peculiari della regione e della tradizione artistica e artigianale del subcontinente indiano, per come si erano manifestati nel corso dei secoli precedenti e per come apparivano nel presente.

L’allestimento, di cui si ha ancora traccia grazie alla pianta del museo, conservata presso l’Archivio Storico Comunale di Bologna, comprendeva molte raffigurazioni di divinità del pantheon hindu e, rispetto ai musei dell’epoca, si distingueva per la presenza di una vasta raccolta di immagini che immortalavano le architetture templari dell’India, hindu, buddista e islamiche.

Pullè era convinto sostenitore dell’utilizzo della fotografia per far conoscere ad un vasto pubblico l’arte e l’archeologia. Nella sua ricchissima collezione sono presenti circa 350 stampe fotografiche in grado di documentare l’archeologia indiana in maniera esauriente e innovativa per l’epoca. Fatta eccezione per un piccolo rilievo proveniente da un monumento buddhista indiano, Pullè si distinse per non aver prelevato dai paesi di origine reperti che altri invece separarono dalla cultura d’origine.
La parte più consistente della raccolta fotografica riguarda i ritrovamenti archeologici allora conservati presso il Central Museum di Lahore, nell’odierno Pakistan, dove nei decenni precedenti rispetto al viaggio del professore di Sanscrito erano confluiti reperti e lastre figurate recuperate durante gli scavi effettuati nella non lontana valle del Peshawar.

Questi oggetti rappresentano oggi l’eredità dell’arte buddhista del Gandhãra, antica area situata tra gli attuali confini di Pakistan e Afghanistan, dove tra gli ultimi decenni del I sec. A.C. e il IV-V sec. d.C. fiorì una tradizione artistica connessa alla devozione buddhista.

Gli arricchimenti successivi, a cominciare dall’acquisto di undici statue effettuato dal Comune nel 1908, provenienti dalla raccolta Pellegrini e quasi tutte raffiguranti divinità del pantheon buddhista cinese, confermano l’interesse per questa tradizione filosofica e religiosa e l’ambizione del professore di Sanscrito di voler creare un’ampia raccolta a testimonianza della ricchezza artistica e culturale dell’Asia.

Vi si trova inoltre testimonianza di un’attenzione alle tendenze estetiche dell’epoca, per il cui tramite l’arte cinese e giapponese sovente era presente nei salotti e negli studi delle case di illustri cittadini, così come nei saloni di prestigiosi locali pubblici. A tale proposito, va ricordato come Pullè seppe agire affinchè il Museo Indiano partecipasse dell’eredità Pepoli, grazie all’acquisizione di alcuni vasi ora in mostra nelle sale delle Collezioni Comunali d’Arte, anch’essi, in parte, di provenienza giapponese.

La vicenda del Museo Indiano si concluse definitivamente nel 1935 e due anni più tardi si redasse l’atto con cui le raccolte furono suddivise tra Comune e Università, che ne rimangono ancor oggi custodi, e la famiglia Pullè. Quest’ultima pochi anni dopo cedette almeno una parte della collezione pervenuta al figlio del professore, Giorgio, all’Università di Padova, dove Pullè aveva insegnato a lungo prima di passare all’Alma Mater.

Nato dall’ambizioso progetto di recare un valido sostegno allo studio del sanscrito a Bologna, il Museo Indiano di Francesco Lorenzo Pullè seppe essere trasformato in una risorsa culturale capace di intercettare gli interessi e le esperienze di tanti cittadini bolognesi. Una risorsa ancora oggi preziosa che questa mostra, anche grazie a restauri e manutenzioni dei materiali realizzati per questa occasione, offre l’opportunità di riscoprire la sua rilevanza come episodio significativo per la storia culturale del Novecento a Bologna.

M.P.F.



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